Lib.16, cap.5
Come Cesare accoglie la notizia della vittoria sul nemico; convocazione del consiglio; parole del vescovo di Osma; parole del duca d'Alba. Cesare fa notificare al re di Francia a quali condizioni gli concederebbe la libertý; risposta del re
Nel quale, per quello che si potette comprendere dalle dimostrazioni estrinseche, apparirono indizi grandi di animo molto moderato e atto a resistere facilmente alla prosperitý della fortuna, e tale che non era da credere in uno principe sÌ potente, giovane e che mai aveva sentito altro che felicitý. PerchÈ avuto avviso di tanta vittoria, che gli pervenne il decimo dÌ di marzo, e con esso lettere di mano propria del re di Francia, scritte supplichevolmente e pi™ presto con animo di prigione che con animo di re, andÚ subito alla chiesa a rendere grazie a Dio, con molte solennitý, di tanto successo, e con segni di somma devozione prese la mattina seguente il sagramento della eucarestia e andÚ in processione alla chiesa di Nostra Donna fuora di Madril, dove allora si trovava con la corte; nÈ consentÌ che, secondo l'uso degli altri, si facessino, con campane o con fuochi o in altro modo, dimostrazioni di allegrezza, dicendo essere conveniente fare feste delle vittorie avute contro agl'infedeli non di quelle che si avevano contro a cristiani. E non mostrando ne' gesti o nelle parole segno alcuno di troppa letizia o di animo gonfiato, rispose alle congratulazioni degli imbasciadori e uomini grandi che erano appresso a lui, che ne aveva preso piacere perchÈ lo aiutarlo Dio sÌ manifestamente gli pareva pure indizio di essere, benchÈ immeritamente, nella sua grazia; e perchÈ sperava che ora sarebbe l'occasione di mettere la cristianitý in pace, e di apparecchiare la guerra contro agli infedeli; e perchÈ arebbe facoltý maggiore di fare beneficio agli amici e di perdonare agli inimici. Soggiugnendo che benchÈ questa vittoria gli potesse parere giustamente tutta sua, per non essere stato seco ad acquistarla alcuno degli amici, voleva nondimeno che la fusse comune a tutti; anzi, avendo udito l'oratore viniziano che gli giustificava le cose fatte dalla sua republica, disse poi a' circostanti, le scuse sue non essere vere ma che voleva accettarle e riputarle per vere. Nelle quali parole e dimostrazioni, significatrici di somma sapienza e bontý, poichÈ si fu continuato qualche dÌ, egli, per procedere maturamente come era consueto, chiamato uno giorno il consiglio, propose lo consigliassino in che modo fusse da governarsi col re di Francia e a che fine dovesse indirizzarsi questa vittoria; comandando che per ciascuno si consigliasse liberamente alla presenza sua. Dopo il quale comandamento il vescovo di Osma, che teneva la cura del confessarlo, parlÚ cosÌ:
- Se bene, gloriosissimo principe, tutte le cose che accaggiono in questo mondo inferiore procedono dalla providenza del sommo Dio e da quella hanno giornalmente il moto suo, pure questo talvolta in qualcuna si scorge pi™ chiaramente: ma se si vedde mai manifestamente in alcuna, si Ë veduto nella presente vittoria; perchÈ, per la grandezza sua e per la facilitý con la quale Ë stata acquistata, e per essersi vinti inimici potentissimi e molto pi™ abbondanti di noi delle provisioni necessarie alla guerra, non puÚ negare alcuno che non sia stata espressa volontý di Dio e quasi miracolo. PerÚ, quanto il beneficio suo Ë stato pi™ manifesto e maggiore tanto pi™ Ë obligata la Maestý vostra a riconoscerlo e a dimostrarne la debita gratitudine; il che principalmente consiste nello indirizzare la vittoria secondo che pi™ sia il servigio di Dio, e a quel fine per il quale si puÚ credere che egli ve la abbia conceduta. E certamente, quando io considero in che grado sia ridotto lo stato della cristianitý, non veggo che cosa alcuna sia nÈ pi™ santa nÈ pi™ necessaria nÈ pi™ grata a Dio che la pace universale tra i prÌncipi cristiani: conciossiachÈ si tocchi con mano che senza questa la religione, la fede sua, il bene vivere degli uomini ne vanno in manifestissima ruina. Abbiamo da una parte i turchi, che per le nostre discordie hanno fatto contro a' cristiani tanto progresso, e ora minacciano l'Ungheria, regno del marito della sorella vostra; e se pigliano l'Ungheria (come, se i prÌncipi cristiani non si uniscono, senza dubbio piglieranno) aranno aperta la strada alla Germania e alla Italia. Dall'altra parte, questa eresia luteriana, tanto inimica a Dio, tanto vituperosa a chi la puÚ opprimere, tanto pericolosa a tutti i prÌncipi, ha giý preso tale piede che se non si provede si empie il mondo di eretici, nÈ si puÚ provedere se non con l'autoritý e potenza vostra; le quali mentre che voi siate impegnato in altre guerre non possono adoperarsi a estirpare questo perniciosissimo veleno. Dipoi, quando bene al presente nÈ di turchi nÈ di eretici si temesse, che cosa pi™ brutta pi™ scelerata pi™ pestifera, che tanto sangue de' cristiani, che si potrebbe spendere gloriosamente per augumentare la fede di Cristo o almanco riserbare a tempi pi™ necessari, si spanda per le passioni nostre inutilmente, accompagnato da tanti stupri da tanti sacrilegi e opere nefande: mali che chi ne Ë cagione per volontý non puÚ sperarne da Dio perdono alcuno, chi gli fa per necessitý non merita di essere escusato, se almanco non ha determinata intenzione di rimediare come prima ne arý la facoltý. Debbe adunque essere il fine e la mira vostra la pace universale de' cristiani, come cosa sopra tutte l'altre onorevole santa e necessaria. La quale vediamo ora in che modo si possa conseguire. Tre sono le deliberazioni che puÚ prendere la Maestý vostra del re di Francia: l'una, di tenerlo perpetuamente prigione; l'altra, di liberarlo amorevolmente e fraternalmente, senza altre convenzioni che quelle che appartenghino a fermare tra voi perpetua pace e amicizia e a sanare i mali della cristianitý; la terza, liberarlo ma cercando di trarne pi™ profitto che sia possibile: delle quali, se io non mi inganno, l'altre due prolungano e accrescono le guerre, la liberazione amorevole e fraterna Ë solo quella che le estirpa in eterno. PerchÈ chi puÚ dubitare che il re di Francia, usandosegli tanta generositý, sÌ singolare liberalitý, non rimanga per tanto beneficio pi™ legato coll'animo e pi™ in potestý vostra che non Ë al presente col corpo? e se tra voi e lui sarý vera unione e concordia tutto il resto de' cristiani andrý a quello cammino che da voi due sarý mostrato. Ma il risolversi a tenerlo sempre prigione, oltre che sarebbe pure con infamia troppo grande di crudeltý e segno di animo che non conoscesse la potestý della fortuna, non fa egli nascere guerre di guerre? perchÈ presuppone volere acquistare o tutta o parte della Francia, che senza nuove e grandissime guerre non si puÚ fare. Se si piglia il partito di mezzo, cioË liberarlo ma con pi™ vantaggiosi patti che si possa, credo che sia il pi™ implicato il pi™ pericoloso partito di tutti gli altri; perchÈ, faccisi che parentado che capitoli che obligazioni si voglia, resterý sempre inimico, nÈ gli mancherý mai la compagnia di tutti quegli che temano della grandezza vostra; in modo che ecco nuove guerre, e pi™ sanguinose e pi™ pericolose che le passate. Conosco quanto questa opinione sia diversa dal gusto degli uomini, quanto sia nuova e senza esempli; ma si convengono bene a Cesare deliberazioni estraordinarie e singolari. NÈ Ë da maravigliarsi che l'animo cesareo sia capacissimo di quello a che i concetti degli altri uomini non arrivano, i quali quanto avanza di degnitý tanto debbe avanzare di magnanimitý; e perÚ conoscere, sopra tutti gli altri, quanto sia piena di vera gloria una tanta generositý, quanto sia pi™ officio di Cesare il perdonare e il beneficare che l'acquistare; che non invano Dio gli ha dato quasi miracolosamente la potestý di mettere la pace nel mondo; che a lui si appartiene, dopo tante vittorie, dopo tante grazie che Dio gli ha fatte, dopo il vedere inginocchiato a' piedi suoi ognuno, procedere non pi™ come inimico di persona ma provedere come padre comune alla salute di tutti. Pi™ fece glorioso il nome di Alessandro magno, il nome di Giulio Cesare, la magnanimitý di perdonare agli inimici, di restituire i regni a' vinti, che tante vittorie e tanti trionfi; lo esempio de' quali debbe molto pi™ seguitare chi, non avendo per fine unico la gloria, ancora che sia premio grandissimo, desidera principalmente di fare quel che Ë il proprio il vero ufficio di ciascuno principe cristiano. Ma consideriamo pi™ innanzi, per convincere coloro che misurano le cose umane solamente con fini umani, quale deliberazione sia pi™ conforme ancora a questi. Io certamente giudico che in tutta la grandezza della Maestý vostra non sia la pi™ maravigliosa la pi™ degna parte che questa gloria di essere stato insino a oggi invitto, di avere condotto a felicissimo fine, con tanta riputazione con tanta prosperitý, tutte le imprese vostre. Questa Ë senza dubbio la pi™ preziosa gioia, il pi™ singolare tesoro che sia tra tutti i vostri tesori; adunque, come meglio si stabilisce come meglio si assicura come pi™ certamente si conserva che col posare le guerre con fine sÌ generoso e sÌ magnanimo, col levare la gloria acquistata dalla potestý della fortuna, e di mezzo il mare ridurre in sicuro porto questo navilio carico di mercie di inestimabile valore? Ma diciamo pi™ oltre: non Ë pi™ desiderabile quella grandezza che si conserva volontariamente che quella che si mantiene con violenza? Niuno ne dubita, perchÈ Ë pi™ stabile pi™ facile pi™ piacevole pi™ onorevole. Se Cesare si obliga il re di Francia con tanta liberalitý, con tanto beneficio, non sarý egli sempre padrone di lui e del regno suo? se e' dý sÌ manifesta certezza al papa e agli altri prÌncipi di contentarsi dello stato che ha, nÈ avere altro pensiero che della salute universale, non resteranno eglino senza sospetto? e non avendo pi™ nÈ da temere nÈ da contendere con lui, non solo ameranno ma adoreranno tanta bontý. CosÌ con volontý di tutti darý le leggi a tutti, e senza comparazione disporrý pi™ de' cristiani con la benivolenza e con l'autoritý che non farebbe con le forze e con l'imperio. Arý facoltý, aiutato e seguitato da tutti, voltare le armi contro a luterani e contro agl'infedeli, con pi™ gloria e con pi™ occasione di maggiori acquisti; i quali non so perchÈ non si debbino anche desiderare nella Affrica o nella Grecia o nel levante, quando bene lo ampliare il dominio fra i cristiani avesse quella facilitý che molti, a giudizio mio, vanamente si immaginano. PerchÈ la potenza della Maestý vostra Ë augumentata tanto che Ë troppo formidabile a ciascuno; e come si vegga che si disegni maggiore progresso tutti di necessitý si uniranno contro a voi. Ne teme il papa, ne temono i viniziani, ne teme Italia tutta; e, per i segni che spesso si sono veduti, Ë da credere che abbia a essere molesta al re d'Inghilterra. Potrannosi intrattenere qualche mese, con speranze e pratiche vane, i franzesi, ma bisognerý in ultimo che il re si liberi o che si disperino; disperati, si uniranno con tutti questi altri. Se il re si libera con condizioni per la Maestý vostra di poca utilitý, e che guadagno si sarý fatto a perdere l'occasione di usare tanta magnanimitý? la quale se non si mostra in questo principio, ancora che si mostrasse poi, non arý seco pi™ nÈ laude nÈ gloria nÈ grazia pari; se con condizioni che vi sieno utili, non le osserverý, perchÈ nessuna sicurtý che vi abbia data gli potrý importare tanto che non gli importi molto pi™ che lo inimico suo non diventi sÌ grande che poi lo possi opprimere: cosÌ aremo o una inutile pace o una pericolosa guerra, i fini delle quali sono incerti; ed [Ë] da temere pi™ da chi ha avuto sÌ lunga felicitý la mutazione della fortuna, e da dispiacere pi™ quando le cose succedono male a chi ha avuto potestý di stabilirle tutte bene. Penso, Cesare, avere sodisfatto al comandamento vostro, se non con la prudenza almanco con l'affezione e con la fede; nÈ mi resta altro che pregare Dio che vi dia mente e facoltý di fare quella deliberazione che sia pi™ secondo la sua volontý, sia pi™ secondo la vostra gloria, pi™, finalmente, secondo il bene della republica cristiana: della quale, e per la degnitý suprema che voi avete e perchÈ si vede essere cosÌ la volontý divina, a voi conviene esserne padre e protettore. -
Fu udito questo consiglio da Cesare con grande attenzione, e senza fare segno alcuno di dispiacergli o di approvarlo; ma, poi che stato alquanto tacito ebbe accennato che gli altri seguitassino di parlare, [Federico duca d'Alva, uomo] e appresso a Cesare di grande autoritý, disse cosÌ:
- Io sarÚ scusato, invittissimo imperadore, se io confesserÚ che in me non sia giudizio diverso dal giudizio comune, nÈ capacitý di aggiugnere con lo intelletto a quello a che gl'intelletti degli altri uomini non arrivano; anzi sarÚ forse pi™ lodato se consiglierÚ che si proceda per quelle vie medesime che sono proceduti sempre i padri e gli avoli vostri, perchÈ i consigli nuovi e inusitati possono al primo aspetto parere forse pi™ gloriosi e pi™ magnanimi ma riescono poi senza dubbio pi™ pericolosi e pi™ fallaci di quegli che in ogni tempo ha, appresso a tutti gli uomini, approvato la ragione e l'esperienza. La volontý di Dio principalmente, e dipoi la virt™ de' vostri capitani e del vostro esercito, vi ha data la maggiore vittoria che avesse, giý sono molte etý, alcuno principe cristiano; ma tutto il frutto dello avere vinto consiste nello usare la vittoria bene, e il non fare questo Ë tanto maggiore infamia che il non vincere, quanto Ë pi™ colpa lo essere ingannato da quelle cose che sono in potestý di chi si inganna che da quelle che dependono dalla fortuna: dunque, tanto pi™ Ë da avvertire di non fare deliberazione che vi abbia alla fine a dare appresso agli altri vergogna, appresso a voi medesimo penitenza; e quanto pi™ grave Ë la importanza di quello che si tratta tanto si debbe procedere pi™ circospetto, e fare maturamente quelle deliberazioni che, errate una volta, non si possano pi™ ricorreggere: e ricordarsi che se il re si libera non si puÚ pi™ ritenere, ma mentre che Ë in prigione Ë sempre in potestý vostra il liberarlo: nÈ doverrebbe la tarditý dargli ammirazione, perchÈ, se io non mi inganno, Ë conscio a se medesimo quel che farebbe se Cesare fusse suo prigione. » stata certo cosa grandissima a pigliare il re di Francia, ma chi considererý bene la troverý senza comparazione maggiore a lasciarlo; nÈ sarý mai tenuto prudenza il fare una deliberazione di tanto momento senza lunghissime consulte e senza rivoltarsela infinite volte per la mente. NÈ sarei forse in questa sentenza se io mi persuadessi che il re, liberato al presente, riconoscesse tanto benefizio con la debita gratitudine; e che il papa e gli altri d'Italia deponessino insieme col sospetto la cupiditý e l'ambizione: ma chi non conosce quanto sia pericoloso fondare una risoluzione tanto importante in su uno presupposito tanto fallace e tanto incerto? anzi, chi considera bene la condizione e costumi degli uomini ha pi™ presto a giudicare il contrario, perchÈ di sua natura niuna cosa Ë pi™ breve niuna ha vita minore che la memoria de' benefici; e quanto sono maggiori tanto pi™, come Ë in proverbio, si pagano con la ingratitudine: perchÈ chi non puÚ o non vuole scancellargli con la remunerazione, cerca spesso di scancellargli o col dimenticarsegli o col persuadere a se medesimo che e' non sieno stati sÌ grandi; e quegli che si vergognano di essersi ridotti in luogo che abbino avuto bisogno del benefizio si sdegnano ancora di averlo ricevuto, in modo che puÚ pi™ in loro l'odio, per la memoria della necessitý nella quale sono caduti, che l'obligazione per la considerazione della benignitý che a loro Ë stata usata. Dipoi, di chi Ë pi™ naturale la insolenza pi™ propria la leggerezza, che de' franzesi? dove Ë la insolenza Ë la cecitý; dove Ë la leggerezza non Ë cognizione di virt™, non giudizio di discernere le azioni d'altri, non gravitý da misurare quello che convenga a se stesso. Che adunque si puÚ sperare di uno re di Francia, enfiato di tanto fasto quanto ne puÚ capere in uno re de' franzesi, se non che arda di sdegno e di rabbia di essere prigione di Cesare, nel tempo che e' pensava di avere a trionfare di lui? sempre gli sarý innanzi agli occhi la memoria di questa infamia nÈ, liberato, crederý mai che il mezzo di spegnerla sia la gratitudine, anzi il cercare sempre di esservi superiore: persuaderý a se medesimo che voi lo abbiate lasciato per le difficoltý del ritenerlo, non per bontý o per magnanimitý. CosÌ Ë quasi sempre la natura di tutti gli uomini, cosÌ sempre quella de' franzesi, da' quali chi aspetta gravitý o magnanimitý aspetta ordine e regola nuova nelle cose umane. In luogo adunque di pace e di riordinare il mondo sorgeranno guerre maggiori e pi™ pericolose che le passate, perchÈ la vostra riputazione sarý minore e lo esercito vostro che aspetta il frutto debito di tanta vittoria, ingannato delle speranze sue, non arý pi™ la medesima virt™ e vigore, nÈ le cose vostre la medesima fortuna, la quale difficilmente sta con chi la ritiene non che con chi la scaccia. NÈ sarý di altra sorte la bontý del papa e de' viniziani; anzi, pentiti di avervi lasciato conseguire la passata vittoria, cercheranno di impedirvi le future, e la paura che hanno ora di voi gli sforzerý a fare ogni opera di non avere a ritornare in nuova paura; e, dove Ë in potestý vostra di tenere legato e attonito ognuno, voi medesimo con una dissoluta bontý sarete quello che gli farete sciolti e arditi. Non so quale sia la volontý di Dio, nÈ credo la sappino gli altri; perchÈ e' si suole pure dire che i giudÌci suoi sono occulti e profondi. Ma, se si puÚ congetturare da quello che tanto chiaramente si dimostra, credo che sia favorevole alla vostra grandezza; non credo giý che abbondino tante sue grazie a fine che voi le dissipiate da voi medesimo ma per farvi superiore agli altri, cosÌ in effetto come siete in titolo e in ragione: perÚ, perdere sÌ rara occasione che Dio vi manda non Ë altro che tentarlo, e farvi indegno della sua grazia. Ha sempre dimostrato l'esperienza, e lo dimostra la ragione, che mai succedino bene le cose che dependano da molti; perÚ, chi crede con l'unione di molti prÌncipi spegnere gli eretici o domare gl'infedeli non so se misura bene la natura del mondo. Sono imprese che hanno bisogno di uno principe sÌ grande che dia la regola agli altri; senza questo, se ne tratterý e farý per l'innanzi con quello successo che se ne Ë trattato e fatto per l'addietro. Per questo credo che Dio vi mandi tante vittorie, per questo credo che Dio vi apra la via alla monarchia, con la quale sola si possono fare sÌ santi effetti; e meglio Ë che si tardi a dare loro principio per fargli con migliori e pi™ certi fondamenti. NÈ vi alieni da questa deliberazione il timore di tante unioni che si minacciano, perchÈ troppo grande Ë l'occasione che avete in mano; nÈ mai, se le cose saranno bene negoziate, la madre del re, per la pietý materna e per la necessitý di ricuperare il figliuolo, si spiccherý dalle speranze di riaverlo da voi per accordo; nÈ mai i prÌncipi d'Italia si unirarno col governo di Francia, conoscendo che sempre sia in potestý vostra, col liberare il re, separarlo anzi voltarlo contro a loro. Bisogna stieno attoniti e sospesi, e alla fine faccino a gara di ricevere le leggi da voi: a quali sarý glorioso usare la clemenza, e la magnanimitý quando le cose restino in grado che e non possino mancare di riconoscervi per superiore. CosÌ la usorono Alessandro e Cesare, che furno liberali a perdonare le ingiurie, non inconsiderati a rimettersi da se stessi in quelle difficoltý e pericoli che avevano giý superati. » laudabile chi fa cosÌ perchÈ fa cosa che ha pochi esempli, ma per avventura imprudente chi fa quello che non ha alcuno esempio. PerÚ, Cesare, il parere mio Ë che di questa vittoria si tragga pi™ frutto che si puÚ; e che perciÚ il re, trattandolo sempre con onori convenienti a re, sia condotto, se non si puÚ in Spagna, almeno a Napoli. In risposta della lettera sua si mandi a lui uno uomo con benignissime parole, per il quale si proponghino le condizioni della sua liberazione; tali che, come particolarmente si potrý consultare, sieno premi degni di tanta vittoria. CosÌ, fermati questi fondamenti e questi fini del vostro procedere, la giornata e gli accidenti che si scopriranno, farý pi™ presta o pi™ tarda la liberazione del re, lo stare in guerra o in pace con gl'italiani; a' quali si diano per ora buone speranze: e si augumenti quanto si puÚ il favore e la riputazione dell'armi con l'arte e con la industria, per non avere a tentare ogni dÌ di nuovo la fortuna; e stiamo parati ad accordare con questo o con quello o con tutti insieme o con nessuno, secondo che le occasioni consiglieranno. Queste sono le vie per le quali sempre sono camminati i savi prÌncipi, e particolarmente quegli che vi hanno fondato tanta grandezza; i quali non hanno mai gittato via gli instrumenti del crescere nÈ allentato, quando l'hanno avuto propizio, il favore della fortuna. CosÌ dovete fare voi, al quale appartiene per giustizia quello che in qualcuno di loro poteva parere ambizione. Ricordatevi, Cesare, che voi siete principe e che Ë ufficio vostro di procedere per la via de' prÌncipi; e che nessuna ragione, o divina o umana, vi conforta a omettere l'opportunitý di fare risorgere l'autoritý usurpata e oppressa dello imperio, ma vi obliga solamente ad avere animo e intenzione di usarla rettamente. E ricordatevi sopra tutto quanto sia facile a perdere l'occasioni grandi e quanto sia difficile ad acquistarle; e perÚ, mentre che si hanno, essere necessario di fare ogni opera per ritenerle nÈ fondarsi in su la bontý o in su la prudenza de' vinti, poi che il mondo Ë pieno di imprudenza e di malignitý, e giudicando che o dalla grandezza vostra o da nessuno altro mezzo si ha a difendere la religione cristiana, accrescerla quanto si puÚ, non pi™ per interesse della autoritý e gloria vostra che per servigio di Dio e per zelo del bene universale. -
Impossibile sarebbe esprimere con quanto favore di tutto il consiglio fusse udito [il duca d'Alva], avendosi giý ciascuno proposto nell'animo lo imperio di quasi tutti i cristiani: perÚ, non fu alcuno degli altri che senza replica non confermasse la medesima sentenza; approvandola ancora Cesare, pi™ presto sotto specie di non volere discostarsi dal consiglio de' suoi che con dichiarare quale fusse per se stessa la sua inclinazione. EspedÌ adunque, Beuren, cameriere intimo e molto accetto, a notificare a' capitani la sua deliberazione e a visitare in suo nome il re di Francia, e a proporre le condizioni con le quali poteva ottenere la liberazione. Il quale, fatto il cammino per terra (perchÈ la madre del re, acciÚ che pi™ comodamente si potessino trattare le cose del figliuolo, non impediva pi™ il transito agli uomini e a' corrieri che andassino e venissino da Cesare), andÚ insieme col Borbone e col vicerÈ a Pizzichitone, dove era ancora il re, [e] gli offerse la liberazione; ma con condizioni tanto gravi che dal re furono udite con grandissima molestia: perchÈ, oltre alla cessione delle ragioni quali pretendeva avere in Italia, gli dimandava la restituzione del ducato di Borgogna come cosa propria, che al duca di Borbone desse la Provenza, e per il re di Inghilterra e per sÈ altre condizioni di grandissimo momento. Alle quali dimande rispose il re, costantemente, avere deliberato pi™ presto morire prigione che di privare i figliuoli di parte alcuna del reame di Francia; ma, che quando bene avesse deliberato altrimenti, che in potestý sua non sarebbe di eseguirlo, non comportando l'antiche costituzioni di Francia che si alienasse cosa alcuna appartenente alla corona senza il consentimento de' parlamenti, e degli altri appresso a' quali risedeva l'autoritý di tutto il reame; i quali erano consueti, in casi simiglianti, anteporre la salute universale allo interesse particolare delle persone de' re. Dimandassingli condizioni che gli fussino possibili, perchÈ non potrebbono trovare in lui maggiore prontezza e a congiugnersi con Cesare e a favorire la sua grandezza: nÈ cessÚ di proporre condizioni diverse, non facendo difficoltý di concedere larghissimamente degli stati di altri pure che ottenesse la liberazione, senza promettere de' suoi. La somma fu: offerirsi a pigliare per moglie la sorella di Cesare che era restata vedova del re di Portogallo, confessando di avere la Borgogna in nome di sua dote, nella quale succedessino i figliuoli che nascerebbono di questo matrimonio; restituire al duca di Borbone il ducato che gli era stato confiscato e aggiugnergli qualche altro stato, e in ricompenso della sorella di Cesare che gli era stata promessa dargli la sorella sua, restata nuovamente vedova per la morte di Alanson: sodisfare al re d'Inghilterra con danari, e a Cesare pagarne per la taglia sua grandissima quantitý; cedergli le ragioni del regno di Napoli e del ducato di Milano; promettere di farlo accompagnare con armata di mare e con esercito per terra quando andasse a Roma a pigliare la corona dello imperio, che era come promettere di dargli in preda tutta Italia. Con la quale forma di capitoli Beuren ritornÚ a Cesare: e vi andÚ con lui monsignore di MemoransÌ, persona insino allora accettissima al re, e il quale fu dipoi promosso da lui prima all'uficio del gran maestro e poi alla degnitý del gran conestabile di Francia.