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I magi, la stella, i vangeli apocrifi

Antonio Panaino
Antonio Panaino

Scrittori contro. Per una volta non in polemica, ma all’insegna dell’antica forma della disputatio de quolibet universitaria. È l’interessante iniziativa realizzata il 25 maggio 2013 a Torino dall’Associazione Logos da un’idea del prof. Dario Seglie, direttore del CeSMAP, il museo di arte preistorica di Pinerolo. Il pretesto per lo “scontro”, la presentazione del volume di Antonio Panaino, I magi e la loro stella, edizioni San Paolo. Un saggio divulgativo che la casa editrice cattolica torinese ha pubblicato alla vigilia del Natale 2012 e che potete trovare in libreria o ordinare con lo sconto direttamente dal sito di IBS.it.

Non erano tre, non erano re, e in un certo senso, non erano neppure magi, o maghi. La vicenda dei Magi è appena accennata nel Vangelo di Matteo, e in quel breve versetto neppure si parla di quanti fossero, dei loro nomi e da dove giungessero con esattezza. Negli altri vangeli non vi è traccia di questi misteriosi personaggi, che pure tanta parte hanno nella tradizione cristiana. In realtà, per saperne qualcosa di più bisogna attingere alla tradizione apocrifa, e precisamente al Vangelo Armeno dell’Infanzia, consultabile soltanto attraverso una copia dell’antico manoscritto realizzata nel 1828. È l’unica fonte che ci parla di tre re giunti da tre nazioni dell’antico Oriente, Melkom, Gaspar e Balthasar, giunti il 9 gennaio ad adorare il Messia con i loro doni. La data è vicina al 6 gennaio della tradizione cristiana, la scorta di 12 mila uomini sicuramente esagerata. Eppure da quel passo nasce una lunga speculazione che dai primi secoli dell’era volgare, attraverso il Medioevo, giunge fino agli studi del Pontefice Emerito, Joseph Ratzinger.

Antonio Panaino è docente universitario, professore ordinario di Filologia, Religioni e Storia dell’Iran presso il Dipartimento di Beni Culturali dell’Università di Bologna, di cui è stato anche Preside. Il suo saggio ricostruisce, sulla base delle fonti testuali attestate, ma anche facendo riferimento alle pluriennali ricerche archeologiche nel territorio dell’antica Persia, la provenienza dei magi e la loro appartenenza sacerdotale, il rapporto conflittuale con Roma, la valenza e i significati di questa citazione per un autore del I secolo dopo Cristo.

copIMAGICon un tono scientificamente ineccepibile, ma altrettanto correttamente divulgativo, Antonio Panaino affronta inoltre l’ancora più misteriosa questione della “stella”: una cometa, come la tradizione indotta dalla riproduzione della cometa di Halley nella Natività di Giotto ci induce a credere? Oppure una nova o supernova, come attestato da fonti cinesi e coreane quasi coeve. O piuttosto una congiunzione planetaria Giove Saturno. Nessuna delle ipotesi può essere confermata con certezza scientifica. Nessuna delle date delle osservazioni astroniche coincide esattamente con le date storicamente ipotizzabili per la nascita di Gesù. La cometa di Halley era già passata all’orizzonte. Di nove e supernove vi è traccia antecedente. Le congiunzioni planetarie ci sono state, ma potrebbero essere state così vistose da giustificare la centralità dell’apparizione nel narrato evangelico? Infine, la scelta della parola greca aster esclude comete e pianeti, per i quali l’evangelista avrebbe avuto a disposizione parole precise per indicare i diversi fenomeni. Eppure, la “stella” c’è stata. Visibile solo ai magi, non a tutti, perché altrimenti non si comprenderebbe la richiesta di Erode Il Grande (la cui morte precede tuttavia la nascita di Gesù) di conoscere il “tempo della stella”, il suo “levarsi astronomico”. Sono le domande che il libro pone ai lettori e alle quali offre risposte e smentite sulla base dell’approccio rigorosamente scientifico.

A disputare con Antonio Panaino, di fronte a un folto pubblico, partecipe e pronto a intervenire con domande, puntualizzazioni e prese di posizione, secondo il tradizionale modello della disputatio, un autore cattolico, il dr Marco Civra, che con la casa editrice Marcovalerio ha pubblicato un saggio dedicato ai vangeli apocrifi e in particolare a uno dei testi antichi più interessanti e forse più vicini all’antica e perduta fonte Q. Giornalista e divulgatore, curatore di diverse pubblicazioni, oltre che autore, Marco Civra ha prodotto nel 2001 un saggio intitolato Il “Quinto” Vangelo e gli scritti apocrifi attribuiti a Tommaso, contestando le letture sensazionalistiche date al manoscritto ritrovato nel 1945 a Nag Hammadi e riconducendo parte della letteratura apocrifa, primo fra tutti il vangelo attribuito all’apostolo Tommaso, alla comune origine della tradizione apostolica, evidenziando la vicinanza assoluta con il testo di Matteo e Marco.

Marco Civra
Marco Civra

Dobbiamo pensare alla tradizione evangelica – ribatte in sintesi il dr Civra al prof. Panaino — non come una cronaca coeva della vita di Gesù, ma un corpus di narrazioni orali dirette da parte degli apostoli e dei primi discepoli, che già alla loro origine rispecchiavano il sentire e la chiave di lettura personale che ciascuno di loro forniva dell’immensa e travolgente esperienza del contatto diretto con il Messia. Prospettive diverse che si sono trasferite direttamente alle prime comunità che dagli apostoli sono state fondate. La codificazione scritta degli evangelisti, che noi possediamo in versioni redatte da più mani, ci offre queste diverse prospettive, ovviamente quando non si tratta di ricostruzioni tardive di fantasia. Per quanto riguarda la narrazione di Matteo, non abbiamo oggi neppure la certezza che sia più antica di quella di Tommaso, cui uno studioso del calibro di J. Heisig, tradotto in Italia dalla Pontificia Università di Napoli, attribuisce autorevolezza pari ai canonici, sostenendo addirittura che “non vi è ragione per collocarlo fra gli apocrifi”.

Quando alla narrazione dei Magi e alla loro stella, l’ipotesi che pare oggi godere di maggiore plausibilità è la congiunzione planetaria, che sarebbe stata chiaramente visibile a dei sapienti persiani quanto poco notata dal popolo comune. Anche questa ipotesi tuttavia risente della mancanza di storicità della narrazione evangelica. E tuttavia, bisogna ricordare che se pure il testo greco di Matteo riporta con precisione il termine “aster” e non cita “cometes” o “planetes”, è pur vero che quel testo, se non fu scritto, probabilmente fu pensato in aramaico e non in greco.

Il dibattito autorevolmente suscitato dal libro di Antonio Panaino, per stessa conclusione dell’autore, resta aperto a ulteriori ricerche scientifiche. Come disse Einstein: “Dio non gioca ai dati con l’universo” e, lo ha ribadito il professore bolognese nel corso della disputatio, non fa dunque esplodere le stelle per il gusto di illuminare una grotta a Betlemme. Sarebbe di contro neopositivista escludere a Dio il controllo dell’Universo, sia esso espresso dal passaggio di una cometa ignota passata inosservata ai più e vista da qualche sapiente persiano, da una congiunzione di pianeti o da qualche altro avvenimento che, in fondo, poco ci importa sapere davvero come classificare astronomicamente. Citando ancora Einstein: “Il caso è la via che Dio usa quando vuole restare anonimo“.

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