Pubblicato il

Il radical chic

Questa settimana voglio proporre ai lettori un altro tipo umano: quello che Montanelli, con una felice intuizione chiamò radical-chic.
Il radical-chic non vive immerso in mezzo alla società: si crea una sua società ideale, ristrette cerchie di sodali, i soli che valga la pena  frequentare. In queste piccole,blindatissime corti, se c’è uno scrittore puoi giurarci che è il “miglior scrittore” esistente; così per i pittori, i musicisti, gli architetti,ecc. Al di fuori di queste enclave, domina la superficialità, la banalità, il pressappochismo, il qualunquismo. Dunque il radical-chic non è aperto a quanto succede attorno a lui: egli ha i suoi autori, i suoi musicisti, i suoi artisti, i suoi saggisti, ignorando aristocraticamente tutto il resto.
Il radical-chic, quasi sempre di provenienza extraparlamentare,
presenta due distorsioni cognitive che lo rendono elitario e spocchioso: scambia leggerezza per superficialità e semplicità per banalità.
Dunque, scambiando la leggerezza per superficialità, per il radical-chic tutto ciò che è piacevole, non è “impegnato” e quindi non è serio. Perciò, anziché amare, ad esempio, un bel film d’amore francese (di Lelouch o di Rohmer), di quelli che regalano appunto la leggerezza dell’essere, egli preferisce pellicole impregnate di messaggi politico-social-ecologici. Così accade che, quando è un radical-chic a decidere la programmazione di un cineforum, la inzeppa di pellicole terzomondiste spesso noiosissime e praticamente invedibili.
Esistono poi una letteratura e una saggistica radical-chic. Giorgio Bocca, ad esempio, in questi ultimi decenni ha scritto alcuni capolavori sia per i contenuti sia per l’altezza di scrittura. Ma Giorgio Bocca con è riconosciuto dalla tribù radical-chic che, nel sentire il suo nome, storce il naso. Se c’è uno studioso che ha capito a fondo l’animo umano (specie quello italico) è Alberoni. Dai suoi articoli sul “Corriere”, imparo sempre qualcosa di importante; i suoi libri sono tradotti in tutto il mondo e, all’estero è, da molti studiosi, considerato un maestro della moderna sociologia. Senonchè il radical-chic, scambiando la semplicità di scrittura (grandissima qualità) per banalità, lo considera un autore “lapalissiano” e gli preferisce certi sociologi engagé i cui testi sono pieni di fumosi giri di parole, di vocaboli astrusi, di concetti contorti. Persino Musatti, il fondatore della psicanalisi italiana, un grandissimo psicanalista, è stato definito dai radical-chic  “superficiale”: un altro che aveva il torto di parlare e scrivere con semplicità.
Il radical-chic pinerolese snobba l’Eco del Chisone, un tempo definito “Settimanale dei preti”, anche se, come amava ripetere il compianto Don Morero, lo legge “di nascosto”. Salvo poi, appena pubblica qualcosina, spasimare per avere una recensione sul giornale dei preti. La cosa che mi diverte di più è sentire un radical-chic che mi dice: “ i tuoi articoli piacciono a mia nonna, a mia zia, a mio cugino”. Addirittura uno mi disse convinto: “I tuoi articoli piacciono al mio macellaio”, facendomi inconsapevolmente un bel complimento.
Il radical-chic ex-sessantottino, nonostante il fatto che la realtà abbia sconfessato puntualmente molte sue farneticazioni, non perde la sua sicumera e dunque non perde il vizio di impartire lezioni agli altri: ogni volta che ne incontro uno, non è mai un incontro alla pari ma tra maestro e allievo.