Ottobre 2009 – Era un po’ che il redattore ordinario non postava sul blog. Tra correzioni, impaginazioni, pulizia dei vetri e trasferimento degli scatoloni dopo il grande trasloco, di tempo per scrivere ne era rimasto ben poco. L’angelo custode dei redattori ordinari tuttavia non ci abbandona, specie se i redattori ordinari vengono precettati per il tour de force annuale alla Buchmesse.
Anzitutto, il redattore ordinario non viene sistemato in albergo. «Sarebbe un lusso del tutto inaccettabile, incompatibile con la sobrietà che deve caratterizzare la nostra casa editrice» ha sentenziato il Presidente con tono autorevole. Se mi fosse balenato per la mente di obiettare, subito mi è stato messo a disposizione un modernissimo motorhome di ultima generazione, immatricolato nel 1985, dotato di tutti i comfort, ovvero stufetta a gas e sacco a pelo. A Francoforte si prendono decisamente sul serio, devo dire, e il Rebstock Park sul quale si sistemano i motorhome degli editori europei brilla per efficienza (quelli italiani naturalmente salgono in aereo e atterrano negli alberghi modaioli). Il mio vicino, un simpatico signore ebreo con un mezzo stellare dotato di antenna satellitare per collegarsi alla redazione, ufficio per incontri, sauna e piattaforma per elicottero, mi ha guardato incuriosito mentre allestivo il mio campeggio e scaricavo la bicicletta. Con aria comprensiva ha chiesto: «Italian?». «Italian, of course.»
La Fiera è grande, maledettamente grande. Proprio come a Torino, dove con quattrocento stand dichiarano di avere 1200 espositori, quelli della Buchmesse, che di editori presenti negli stand ne avevamo circa 16 mila, ne hanno dichiarati soltanto poco più di 7 mila. Perché per i tedeschi, gli stand collettivi valgono per uno solo. In compenso non ci sono code per accedere. Perché le navette che dai parcheggi a otto piani trasferiscono i visitatori agli ingressi degli otto padiglioni fanno la spola ogni sessanta secondi. Niente ressa, niente spintoni. Solo un freddo becco.
La sicurezza à discreta, persino nel “famigerato” padiglione 8, casa degli editori statunitensi ed israeliani, per accedere alla quale occorre passare la perquisizione. Dalla borsa del redattore ordinario lo zelante poliziotto tedesco ha estratto: pacchetto di cracker per spuntino, bottiglietta di acqua minerale importata illegalmente dalla madrepatria (un bicchiere al bar costa 3 euro e piuttosto che affrontare la spesa, il redattore ordinario accetta il rischio della disidratazione), foto della famiglia, mozziconi di sigaretta fumati (perché se provate a gettarne uno in terra vi condannano alla deportazione), maglia e calzini di lana. Con inglese gutturale ha chiesto: «Italian?». «Italian, of course.» La dichiarazione di nazionalità ha reso a suo parere superfluo ogni ulteriore controllo. Fossi anche entrato con un bazooka.
Gli italiani si notano subito. Dove si mangia gratis li trovi subito tutti. Che sia la soupe offerta dai francesi, ottima per avere una scusa urgente per correre ai bagni a fare la cacca con il sottofondo di uccellini cinguettanti, o uno spuntino russo, con i biscottini che ricordano i dolcetti sardi. Per il resto, tendono a incontrarsi fra loro, salutandosi con sussiego per sottolineare che loro ci sono. Tutti gli altri, invece, lavorano. Corrono come pazzi a siglare contratti, acquistare diritti, contrattare con gli stampatori cinesi e coreani.
Per quanti non lo sapessero (ovviamente è un domanda retorica, perché ormai tutti sanno tutto), la Fiera del Libro di Francoforte, che si svolge ogni anno ad ottobre è la principale manifestazione mondiale del settore. Non si tratta di una fiera aperta al pubblico, salvo l’ultima giornata, ma riservata agli operatori: editori, scout, agenti letterari, scrittori affermati, distributori etc. etc.
Cosa ci vanno a fare gli addetti ai lavori in fiera? A comprare libri naturalmente, non nel senso di acquistare singole copie del volune, ma per trattare i diritti internazionali. Io dò un libro a te, tu dai un libro a me, lo traduciamo nelle rispettive lingue e così il catalogo delle singole case editrici aumenta.
Di fatto, alcuni editori, quelli di lingua anglosassone per primi, vendono, altri comprano quasi esclusivamente. Per un fattore di lingua anzitutto: un libro in inglese è già pronto per il mercato statunitense, australiano, britannico, ma anche indiano ad esempio. Un libro in italiano, invece no. Accade così che i Paesi con maggiori difficoltà di penetrazione culturale all’estero decidano di sostenere le traduzioni con contributi statali. In altre parole, tanto per fare un esempio, se un editore italiano o americano acquista il diritto di tradurre un’opera polacca, il governo di Varsavia offre un contributo per i costi di traduzione.
Il grande mercato dei diritti lo fanno naturalmente i giganti del settore, con i best seller dei grandi autori. Qualche volta incappano in bufale clamorose, scambiando lucciole per lanterne, così da proporre ai lettori italiani il nuovo vate della letteratura del tal Paese salvo scoprire che il vate in questione, nel suo paese di origine (paese inteso minuscolo, come villaggio) neppure lo conoscevano. Accade di rado, ma accade.
Accanto ai best seller, il secondo mercato dei diritti si concentra sui libri illustrati. In un pianeta nel quale l’analfabetismo di ritorno del mondo industriale sta superando quello di andata del Terzo Mondo, il modo migliore per vendere qualcosa ai lettori è proporre libri nei quali ci sia poco o nulla da leggere. Grandi volumi illustrati, con tante belle fotografie e qualche didascalia, oppure simpatici tascabili con manualetti che spiegano in dodici righe e tante allegre vignette come educare i propri figli, costruire in casa un aeroplano, diventare ricchi o vivere felici. Gli indiani e gli australiani ne propongono di magnifici. Il redattore ordinario si è fatto guardare male perché in uno stand di canguri si è messo a sghignazzare sui testi di Andrew Matthews. Non preoccupatevi, i diritti delle sue opere sono stati acquistati da una grande casa editrice e presto potrete leggere i suoi nuovi divertenti capolavori. Se l’inglese non è un ostacolo, potete anche scaricare molto materiale gratuito, in ebook o audio mp3, direttamente dal sito dell’autore.
Parliamo ora di editori piemontesi. Bisogna dare atto a Gianni Oliva, assessore alla Cultura della Regione Piemonte, che questa volta ha davvero fatto le cose per bene. Un po’ di merito bisogna riconoscerlo anche a Eugenio Pintore e alle pimpanti ragazze di Ex-Libris, capitanate da Carmen Novella, che hanno pazientemente fatto da balia a una ventina di scatenati e un po’ provincialotti piemontesi armati di valigetta e cataloghi alla ricerca di occasioni per crescere.
Male hanno fatto sicuramente gli assenti, quegli editori che si sono limitati a esporre cinque titoli nel bellissimo stand offerto dalla Regione Piemonte senza affrontare il pur faticoso viaggio in Germania. Francoforte, prima ancora che per fare affari, è una grande occasione per imparare, capire, confrontarsi. Senza contare che, esserci di persona, significa essere visti dai distributori e dai grandi operatori del settore.
Per visitare gli otto padiglioni della Buchmesse non basta un giorno. A dire il vero non ne bastano neppure cinque, a meno di essere veri e propri maratoneti. Bisogna scegliere, organizzarsi e, se possibile, fissare in tempo utile gli appuntamenti, con settimane o addirittura mesi di anticipo. Altrimenti, si rischia di girare a vuoto per gli stand.
In ogni caso, anche girare da un padiglione all’altro, armati di valanghe di biglietti da visita, è un’esperienza utilissima. Spiare, capire, confrontare sono le tre parole d’ordine per i piccoli editori. Capire come si disegnano bene le copertine, come si articola un percorso su una collana, come si sviluppa un’azione di marketing sul libro. Magari, perché no, rubare idee per nuove pubblicazioni.
Il povero redattore ordinario come mezzi a disposizione non aveva neppure una macchina fotografica per carpire spunti. Il Direttore Editoriale, prima della partenza aveva solennemente dichiarato: «La nostra è una casa editrice di cultura, saldamente ancorata ai valori della tradizione, che rifugge dalla rincorsa ai gadget tecnologici.» In parole povere significava: impara tutto a memoria e se proprio non ci riesci, prendi appunti. Come dotazione aziendale, il redattore ordinario ha ricevuto: due bloc notes, di cui uno tascabile, tre penne e una matita. La matita è servita per fare schizzi delle copertine altrui. Tenuto conto che non ha la minima capacità nel disegnare, potete immaginare fin d’ora quali orrori scaturiranno da questa operazione spionistica sulle copertine di tutto il mondo. Per fortuna, i grafici sanno bene cosa farsene dei suggerimenti del redattore ordinario…