Ospitiamo sul nostro blog questo articolo di Gian Paolo Serino, direttore della rivista Satisfiction, ancora una volta polemico sul Salone del Libro di Torino. Un argomento sul quale, da sei anni, non ci esimiamo dal prendere posizione. Siamo stati voce nel deserto (quando al deserto partecipavamo, fino al 2006). A quanto pare, qualcuno si unisce alla sparuta carovana.
Il Salone Immobile di Torino nasce dall’idea che proprio la Fiera del Libro di Torino sia tra i principali colpevoli della disaffezione alla lettura in Italia.
Non voglio entrare in dibattiti con gli zombie culturali che attentano ogni giorno la libertà di lettura , ma l’oggettività porta facilmente a comprendere come la Fiera di Torino sia diventata un circo barnum di radical flop più che un luogo di incontro tra scrittori, editori e lettori. Si pagano 12 euro per entrare in un supermercato. I grandi editori sono presenti con stand che sono vere e proprie librerie: stessi titoli che trovate al supermercato e in più pochi sconti se non nessuno e addetti alla vendita preparati solo alla vendita.
I piccoli editori, che sino a qualche anno fa animavano il Salone, sono sempre più strozzati da costi esorbitanti per pochi metri quadrati di visibilità. Non promuovono più cultura ma sono costretti a recuperare i costi in pochissimi giorni. Gli scrittori italiani, quando esistono, sono strozzati non tanto dagli scrittori internazionali (che si guardano ormai bene dall’intervenire), ma da cantanti, soubrette, veline e letteraturine. Tutto questo porta ad una spettacolarizzazione della cultura che non aiuta ma distrugge il senso della cultura in Italia.
Al Salone del Libro non ci sono più incontri tra intellettuali, ma salottini (asor) rosa. Non ci sono più scontri, ma solo scontrini. Non esiste più un dibattito culturale, ma solo scolaresche in gita scolastica. Non ci sono più confronti, ma solo affronti all’intelligenza del lettore.
Chiunque entri al Salone Immobile del Libro di Torino può comprendere come la Fiera del Libro sia diventata oltre modo dannosa. Tutto – dalla comica allo scienziato, dallo studioso all’opinionista televisivo – è messo in un unico programma. Tutto è livellato. Verso il basso, verso il facile, verso il divertente. Tutto ciò che non si può essere, al Salone del Libro si può comprare. Partecipi ad un incontro e ti credi uno scrittore o un critico letterario, pronto a cedere il sorriso di circostanza al comico di turno.
Il Salone del Libro di Torino fa male, nuoce gravemente alla salute dei lettori. Perchè esistono due modi per spegnere la cultura di una civiltà: nel primo i libri si mettono all’indice o al rogo, nel secondo si pubblicano talmente tanti titoli che l’effetto è uguale. Esattemente come nell’informazione. Oggi non esiste quasi più la censura o l’oscurantismo ma ci danno talmente tante informazioni da farci diventare passivi. Quando guardiamo un telegiornale tutto è sullo stesso piano di importanza: politica, calcio, fighe, tette, culi e Padre Pio.
Tutto è nello stesso contenitore, quindi è tutto contenuto. Ne è riprova che ogni giorno solo per le notizie che sentiamo al Tg — morti nelle guerre, sparatorie, omicidi, suicidi, stupri — non dovremmo dormire per una settimana. E invece è tutto un arrivederci alla prossima edizione e buona continuazione con la nostra programmazione. Il Salone del Libro applica lo stesso concetto solo apparentemente democratico: mette sullo stesso piano le mutande della Littizzetto con le parole di un Premio Nobel.
La differenza è che la Littizzetto è più ascoltata. Il Salone del Libro di Torino non è più il Salone per i lettori, ma è un luogo che bisognerebbe abolire (soprattutto simbolicamente) perché è un’associazione a delinquere di stampo immaginario. Si finge di fare cultura e si spaccia il concetto antidemocratico di una dittatura del divertimento e dell’effimero in nome dell’andare incontro ai lettori.
Cari responsabile del Salone del Libro, dimettetevi. Cari giornalisti culturali non scrivete più del Salone. Cari scrittori, se esistete ancora, state a casa anziché rimediare briciole di applausini. Cari critici letterari leggete libri al posto di cercare un posticino al sole della vostra ombra.
Ma soprattutto voi, cari lettori: visto che chi gestisce la cultura in Italia dovrebbe dimettersi da anni e non lo fa, dimettetevi voi. E iniziamo a nona ndare al salone, iniziamo a non leggere più le novità, iniziamo a ribellarci alla dittatura del marchetting culturale e dalla dittatura delle fascette e delle novità.
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