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Del salone e del libro

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“Torino provincia di Milano, da capitale a dépendance della Madonnina”, un titolo pubblicato anni or sono dalla nostra piccola, anzi minuscola, casa editrice, è curiosamente il libro più citato in questi giorni di acceso dibattito sul futuro della promozione editoriale e libraria italiana. Una citazione non casuale, per quanto ci riguarda, perché i pochi lettori del nostro blog sanno quanto per dieci anni esatti abbiamo insistito, inascoltati, sull’urgenza di cambiare completamente linea di azione per il Salone del Libro di Torino.
Non siamo mai stati sostenitori di una formula culturale, quella adottata dal capoluogo piemontese con spocchia e autoreferenzialità, incentrata su presunti “salotti buoni” di presunti “autorevoli intellettuali” che di buono e di autorevole, a nostro modestissimo parere, nulla avevano e nulla hanno.

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La nostra ultima partecipazione al Salone del Libro di Torino risale appunto al decennio scorso. Quella manifestazione dove autori ed editori potevano incontrarsi e far nascere opere, si era già trasformata in un circo mediatico nel quale il libro, e con esso la cultura, erano ormai totalmente assenti.
Ci appare quindi francamente priva di significato una polemica in difesa del Salone del Libro di Torino. Da almeno dieci anni, non esiste a Torino un salone del libro. Non è esistita neppure una politica culturale in senso ampio.
Non entriamo nel merito delle prese di posizione dell’europarlamentare Mercedes Bresso o dell’assessore regionale Antonella Parigi, riassumibili nella rivendicazione di proprietà di un marchio registrato. Che la registrazione del marchio “salone del libro” rappresenti la linea del Piave di una disfatta condita di illeciti, nomine discutibili quando non addirittura patetiche, è un sintomo rivelatore della concezione debole della pretesa enclave culturale subalpina, che ha celebrato come vati della letteratura degli onesti imprenditori della comunicazione.
Una città, e un’intera regione, per le quali l’essenza della narrazione, della letteratura, dell’arte, della tradizione enogastronomica, si riducono al modello della Scuola Holden, alla cucina di Eataly, alla partecipazione provincialmondana di analfabeti benestanti al cosiddetto Circolo dei Lettori, altra esperienza di successo se si considerano i risultati relativi alla ristorazione ma certamente deludente se valutata dalla tipologia di libri presentati.

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Ciò che accomuna questo tipo di esperienze, con buona pace di Luca Beatrice, che tenta di fare prendere le distanze del palazzo di via Bogino dal carrozzone del Lingotto, è lo snobismo, nel senso originale di sine nobilitate, di una visione culturale da sagra del sedano. Non differente dalle pretese di molti assessori di borghi sperduti che, presentando il libro stampato nella tipografia di paese dal maestro elementare in pensione, pensano di coprire con una veste sontuosa l’annuale abbuffata di costine e bottiglioni di vino acido pomposamente ribattezzata come festival letterario.
È il provincialismo campagnolo che permise a Giovanni Soria di incamerare milioni invitando starlette al Castello di Grinzane Cavour, senza mai aver promosso, non diciamo a livello internazionale, ma almeno fuori dalla sua provincia, uno scrittore piemontese.
È ancora quella visione miope che fece fallire la partecipazione degli editori piemontesi alla Buchmesse di Francoforte, troppo impegnati a leggere la cronaca del quotidiano di casa mentre attorno a loro l’editoria mondiale si incontrava.
La nostra casa editrice non è iscritta all’Associazione Italiana Editori, né alla pattuglia di Fidare o Odei. Siamo irrilevanti, con i nostri 500 titoli prodotti in 15 anni di attività, con la nostra produzione assolutamente marginale, quasi ignorata dagli inserti degli organi di informazione, come è comprensibile siano ignorate le opere del filosofo dilettante Vittorio Mathieu, di storici domenicali della scuola come Redi Sante Di Pol e del medioevo come Francesco Panero, di sconosciuti imbrattacarte dell’Ottocento come Giuseppe Rovani e Antonio Fogazzaro. Come potremmo noi, e loro, competere con la monumentale epica di Luciana Littizzetto?
È quindi comprensibile l’astio piemontese anche nei confronti di un parvenu milanese, tal Federico Motta, titolare di un marchio editoriale fondato la scorsa settimana dalla produzione notoriamente incentrata sui volumi illustrati di gattini.
La risposta giusta, prontamente estratta dal cilindro della classe politica piemontese, è aprire alla partecipazione degli editori. Purché siano davvero editori di cultura, possibilmente in lingua piemontese, difensori del sano provincialismo subalpino, e quindi che possano dimostrare di non aver mai venduto un solo volume al di là del Ticino, e men che meno in una biblioteca americana o giapponese. Sotto la guida illuminata di un saggio, un maestro del giornalismo di ampio respiro, erede di Buzzati, di Arpino, di Frassati, quale Massimo Gramellini.

Nel merito delle domande giornalistiche che giungono in casa editrice in questi giorni, rispondiamo sinteticamente.

Ci è del tutto indifferente la scelta campanilistica di Torino o Milano come sede di una manifestazione del libro. Anche la proposta avanzata da Laterza di guardare a Bologna come possibile sede potrebbe avere senso.
Si tratta di una valutazione puramente logistica ed economica. La fiera nazionale del libro italiano vada dove ci sono le condizioni e gli spazi per realizzarla al meglio. Per meglio intendiamo migliori contenuti, più libri e meno magliette, più scrittori e meno cantanti, più editori e meno spacciatori di vanity press.

Il modello finora proposto da Torino è fondamentale, nel senso che è l’esempio di tutto ciò che non deve essere fatto. Possiamo anche difendere la città, proprio perché a Torino è nata la nostra casa editrice, ma non possiamo difendere la formula. Tuttavia non abbiamo alcun problema a cambiare sede. I nostri libri sono presenti in Italia, in Europa, in America, Asia e Oceania. Come andiamo a Francoforte, possiamo andare a Milano e Bologna. Per la sagra del sedano non abbiamo tempo.

Marco Civra
direttore editoriale
Marcovalerio Edizioni

Patrizio Righero
direttore editoriale
Vita Edizioni

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