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Roy Eugene Davis

royeugenedavisdavisRoy Eugene Davis (Leavittsburg, 9 marzo 1931, 27 marzo 2019) è stato un saggista e maestro del kriya yoga statunitense.

Discepolo di Paramahansa Yogananda fin dall’età di 18 anni, si unì alla sua comunità di Los Angeles nel 1949. Ricevuta l’iniziazione al kriya yoga nel 1951, fu autorizzato da Paramahansa Yogananda ad insegnare verso la fine di quell’anno. Poiché si sentiva più portato ad esprimersi individualmente, Davis abbandonò la Self-Realization Fellowship due anni dopo, avviando con successo l’attività di maestro indipendente del kriya yoga in tutto il mondo, con presenze significative in Giappone, Brasile, Canada, Ghana, Nigeria, Gran Bretagna, India, Germania e Italia.

I suoi libri sono stati pubblicati in nove lingue, con oltre quaranta diverse edizioni nel mondo. È vissuto negli Stati Uniti, dove dal 1972 ha dato vita al Center for Spiritual Awareness come base permanente della sua attività di insegnamento. Entrò a far parte di questa organizzazione verso la fine degli anni sessanta, quando ancora si chiamava “Christian Spiritual Alliance”. Roy Eugene Davis insegnava una forma di kriya yoga molto legata alle organizzazioni spirituali americane del “New Thought” (i cosiddetti “trascendentalisti americani”). Il Center for Spiritual Awareness ha gruppi di meditazione sparsi in: Stati Uniti, Canada, Sud Africa, Germania, Inghilterra e Italia.

Tutti i libri di Roy Eugene Davis


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Perché una tesi non è un saggio…

La casella di posta elettronica della redazione di una casa editrice trabocca per ovvie ragioni di manoscritti in allegato. Se una casa editrice pubblica narrativa, è quasi naturale che giungano racconti brevi e, talvolta, persino romanzi.

Se invece la casa editrice pubblica prevalentemente saggistica? Naturalmente racconti e qualche romanzo, non sia mai, insieme a poesie, vignette e persino testi di canzoni. Saggi, a dire il vero, pochissimi. In compenso, un diluvio di tesi di laurea, talvolta spacciate onestamente per quello che sono, altre volte mistificate come opere di saggistica degne di pubblicazione.

saggio

Vediamo di capire perché una tesi di laurea NON è un saggio, con buona pace delle generose dignità di stampa distribuite da docenti compiacenti, e per quale ragione una tesi di laurea, per quanto ben scritta, non interessa a una casa editrice per l’eventuale pubblicazione (sempre fatti salvi i rarissimi casi eccezionali).

Escludiamo intanto le tesi compilative, quei lavoretti frettolosi che vi permettono di conseguire il “pezzo di carta” e il titolo accademico. Ne vengono prodotte migliaia ogni settimana e sono poco più che ricerche scolastiche. Lo sapete anche voi, che le avete scritte. Perché non dovremmo saperlo noi, che magari un tempo le abbiamo a nostra volta collezionate come docenti?

Facciamo qualche esempio concreto. Ci viene proposto un glossario dei termini siciliani di un romanzo di Camilleri. A parte il fatto che esistono ottimi dizionari dialettali, non ci vuole una scienza per capire che “accattare”, da Salerno in giù, significa “acquistare”. Lo sanno persino a Domodossola. Per quale ragione un lettore dovrebbe essere interessato ad acquistare un glossario del genere? Voi lo acquistereste? No, vero? E se non esiste un lettore interessato all’acquisto, evidentemente non esiste un editore interessato alla pubblicazione. A meno che gli offriate di acquistare voi l’intera tiratura. Ma questo è un altro discorso.

La vostra tesi non è un compitino raccogliticcio, ma una vera, seria e meditata ricerca di livello scientifico (la parola scientifico non esclude il campo umanistico, in questa accezione), corredata di una mastodontica bibliografia (copiata, lo sappiamo tutti, ma visto che lo fanno anche i professori, non stiamo a sottilizzare. Quindi dovrebbe interessarci? Può anche accadere che questo sia possibile, ma certamente non si verificherà se la vostra tesi verte su argomenti tipo: “Il restauro conservativo della cappella di Caccanuova di Borgo Sperduto ad opera del fratello del bisnipote di Annibale Caracci”. Siamo certi che il vostro lavoro abbia apportato un contributo fondamentale e innovativo alla conoscenza della storia dell’arte. Noi, purtroppo, vendiamo libri, e a parte i membri della Confraternita di Santa Spiritata di Caccanuova di Borgo Sperduto, pare che nessuno sia interessato a leggere le duemila pagine della vostra ricerca.

L’argomento è di sicura e ampia presa sul pubblico. Ad esempio “Analisi semiotica della canzoni di Adriano Celentano nel contesto sociale del boom economico italiano”. Dite che è un titolo inventato? Se almeno cinquecento lettori prenotano questa fantastica opera, giuriamo di editarla subito. Da qualche parte in un disco rigido del computer ci deve essere ancora… Sicuramente migliaia di persone ascoltano con piacere le canzoni di Celentano. Anche noi. Solo che neanche nelle giornate più uggiose parteciperemmo a un convegno che abbia per argomento il titolo di simile tesi. Immaginiamo neppure il “grande molleggiato”. Qualcuno di voi la pensa diversamente?

Infine, parliamo delle vere tesi, quelle che in genere suscitano commenti perplessi da parte dei relatori. Anni or sono, non citiamo l’autorevole personaggio perché defunto, anche se i suoi saggi vengono ancora pubblicati, liquidò la tesi di uno studente con queste lapidarie parole. “Non ho capito praticamente nulla del metodo impiegato, ma i risultati sono eclatanti.” Ecco, questo lavoro potrebbe magari interessare un editore. Cose del genere sono accadute a matematici come Bernhard Riemann, ma anche anche a un nostro conoscente giornalista che si inventò di sana pianta un’antica abbazia, del tutto inesistente, e sulla storia di questo monumento appiccicò il titolo di “dottore”. Anche se malefico, il genio suscita attenzione…

Tuttavia, se siete riusciti a laurearvi in un’università italiana, sappiate che la vostra tesi, proprio per la struttura imposta dalla maggior parte dei relatori, è impubblicabile. Se volete trasformarla in un saggio, dovrete riscriverla da cima a fondo. Modificarne la struttura, semplificare l’apparato bibliografico a livelli accettabili e in ogni caso al di sotto del cinque per cento del tomo, ma soprattutto rendere l’esposizione interessante. Nel mondo anglosassone viene considerata una nota di merito saper scrivere di cose difficili in modo semplice. Così fecero Einstein, così fanno tuttora molti docenti universitari a Londra o New York. In Italia, con le dovute eccezioni, l’accademia si scrive addosso. Ai lettori non piace la minzione letteraria, cosa diversa volutamente dalla finzione.

La parola “divulgazione” viene percepita come una bestemmia. Diciamo che Platone, se frequentasse oggi un liceo classico, verrebbe probabilmente rimandato. Boezio sarebbe cacciato a pedate al primo appello universitario. Sant’Agostino se la caverebbe solo grazie alla raccomandazione di Sant’Ambrogio.

Scrivete un saggio leggibile. Semplicemente leggibile. E sicuramente lo leggeremo.

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Una bomboniera speciale per il tuo giorno più importante

Per il tuo giorno più importante, oggi hai la possibilità di regalare agli amici e ai parenti un oggetto che sicuramente non finirà, come spesso accade, in un cassetto. Un piccolo libro, infatti, oltre a essere sempre gradito a chiunque, si distingue per l’eleganza del gesto e per l’originalità dell’idea.

Un libro non si rompe, e a distanza di anni chi lo ha ricevuto lo sfoglierà, ricordando un giorno festoso. Marcovalerio, grazie alle moderne tecnologie digitali, ti permette di realizzare un libro con la copertina personalizzata di tua scelta, stampando anche i nomi degli sposi e la data delle nozze, per realizzare una bomboniera di grande impatto emotivo ed estetico.

Potrai accompagnare il tuo libro con i confetti, confezionarlo con un semplice nastro, o dare corpo alla tua fantasia. In ogni caso, tutti gli invitati lo riceveranno con grande gioia e difficilmente lo accantoneranno.


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Domande frequenti

Quale titolo posso scegliere? – Puoi scegliere qualsiasi titolo, ovviamente. Noi te ne consigliamo due, particolarmente adatti all’occazione: il Cantico dei Cantici, con testo ebraico a fronte, e Il Profeta di Gibran.

Quante copie ne devo ordinare?- Se vuoi la personalizzazione della copertina devi ordinare almeno 100 copie dello stesso titolo. Altrimenti puoi ordinarne meno, ma non potremo offrirti la personalizzazione gratuita della copertina.

Quali sono le caratteristiche del volumetto? – I libri sono stampati su carta da edizioni da 80 grammi, come tutte le nostre pubblicazioni, leggermente avoriata, con una copertina a colori in cartoncino delle Cartiere Fedrigoni. Sono tutte carte ecologiche, per il rispetto dell’ambiente, ma di elevata qualità. Il volume è rilegato in brossura. Il formato del libro è cm 13 di base per 20 di altezza.

Quanto costa?– Il costo di ogni singolo volumetto, compresa la personalizzazione è di euro sei, ma come vedi a lato, ci sono delle offerte per risparmiare ulteriormente.

Se ne ordino più di cento copie ci sono sconti? – Tutte le copie aggiuntive che ordini oltre alle prime cento costano cinque euro l’una.

Quanto costa la spedizione? – Niente, è già compresa nel prezzo. Ti spediremo un pacco celere all’indirizzo che ci fornirai.

Quanto tempo prima devo effettuare l’ordine? – Come minimo devi ordinare i libri un mese 40 giorni prima della data delle nozze. Ma se lo fai ancora prima, tanto meglio.

Come devo effettuare l’ordine? – Devi inviare un’email a marcovalerio@marcovalerio.com o telefonare al numero 011.812.96.65, fornirci i tuoi dati completi di codice fiscale e l’indirizzo per la spedizione. Ti invieremo una bozza della copertina per l’approvazione, quindi ti invieremo la regolare fattura.

Come posso pagare? – I libri devono essere pagati all’ordine, perché come puoi comprendere, una volta personalizzati non possono essere venduti a nessun altro. Puoi pagare con carta di credito, assegno, o bonifico bancario. Come preferisci. E naturalmente puoi anche riceverli come regalo di nozze da un amico o un parente a cui intesteremo la fattura.

Ci sono limiti per la personalizzazione della copertina? – Puoi scegliere la copertina che preferisci, utilizzando le immagini che ti mettiamo a disposizione oppure scegliendone una qualsiasi di tuo gusto, purché sia libera da diritti di terzi (ad esempio non puoi usare una fotografia di un autore celebre o un quadro la cui riproduzione non sia libera).

Potete provvedere voi ad aggiungere i confetti e realizzare la confezione? – No, questo purtroppo non possiamo proprio farlo. Confezionare i libri è tuttavia estremamente facile.

Se ho qualche ulteriore domanda? – Scrivici, invia un’email a marcovalerio@marcovalerio.com, oppure telefona al numero 0118129665 dalle 14 alle 18 dal lunedì al venerdì e saremo a tua disposizione.

Posso ricevere un campione? – Non possiamo stampare un campione già personalizzato per te, però, se vuoi proprio essere sicura, puoi ordinare un libro dal nostro catalogo, ad esempio una copia de Il Profeta di Gibran. Insieme ti spediremo anche un campione gratuito di un libro già personalizzato. Così potrai verificare la qualità del prodotto. Se vuoi acquistarlo direttamente da questa pagina, pagando con Paypal o carta di credito, usa i pulsanti qui sotto.


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Contatti

 

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Il redattore ordinario alla Buchmesse

Frankurter BuchmesseOttobre 2009 – Era un po’ che il redattore ordinario non postava sul blog. Tra correzioni, impaginazioni, pulizia dei vetri e trasferimento degli scatoloni dopo il grande trasloco, di tempo per scrivere ne era rimasto ben poco. L’angelo custode dei redattori ordinari tuttavia non ci abbandona, specie se i redattori ordinari vengono precettati per il tour de force annuale alla Buchmesse.

Anzitutto, il redattore ordinario non viene sistemato in albergo. «Sarebbe un lusso del tutto inaccettabile, incompatibile con la sobrietà che deve caratterizzare la nostra casa editrice» ha sentenziato il Presidente con tono autorevole. Se mi fosse balenato per la mente di obiettare, subito mi è stato messo a disposizione un modernissimo motorhome di ultima generazione, immatricolato nel 1985, dotato di tutti i comfort, ovvero stufetta a gas e sacco a pelo. A Francoforte si prendono decisamente sul serio, devo dire, e il Rebstock Park sul quale si sistemano i motorhome degli editori europei brilla per efficienza (quelli italiani naturalmente salgono in aereo e atterrano negli alberghi modaioli). Il mio vicino, un simpatico signore ebreo con un mezzo stellare dotato di antenna satellitare per collegarsi alla redazione, ufficio per incontri, sauna e piattaforma per elicottero, mi ha guardato incuriosito mentre allestivo il mio campeggio e scaricavo la bicicletta. Con aria comprensiva ha chiesto: «Italian?». «Italian, of course.»

La Fiera è grande, maledettamente grande. Proprio come a Torino, dove con quattrocento stand dichiarano di avere 1200 espositori, quelli della Buchmesse, che di editori presenti negli stand ne avevamo circa 16 mila, ne hanno dichiarati soltanto poco più di 7 mila. Perché per i tedeschi, gli stand collettivi valgono per uno solo. In compenso non ci sono code per accedere. Perché le navette che dai parcheggi a otto piani trasferiscono i visitatori agli ingressi degli otto padiglioni fanno la spola ogni sessanta secondi. Niente ressa, niente spintoni. Solo un freddo becco.

La postazione tecnologica del redattore ordinario
La postazione tecnologica del redattore ordinario

La sicurezza à discreta, persino nel “famigerato” padiglione 8, casa degli editori statunitensi ed israeliani, per accedere alla quale occorre passare la perquisizione. Dalla borsa del redattore ordinario lo zelante poliziotto tedesco ha estratto: pacchetto di cracker per spuntino, bottiglietta di acqua minerale importata illegalmente dalla madrepatria (un bicchiere al bar costa 3 euro e piuttosto che affrontare la spesa, il redattore ordinario accetta il rischio della disidratazione), foto della famiglia, mozziconi di sigaretta fumati (perché se provate a gettarne uno in terra vi condannano alla deportazione), maglia e calzini di lana. Con inglese gutturale ha chiesto: «Italian?». «Italian, of course.» La dichiarazione di nazionalità ha reso a suo parere superfluo ogni ulteriore controllo. Fossi anche entrato con un bazooka.

Gli italiani si notano subito. Dove si mangia gratis li trovi subito tutti. Che sia la soupe offerta dai francesi, ottima per avere una scusa urgente per correre ai bagni a fare la cacca con il sottofondo di uccellini cinguettanti, o uno spuntino russo, con i biscottini che ricordano i dolcetti sardi. Per il resto, tendono a incontrarsi fra loro, salutandosi con sussiego per sottolineare che loro ci sono. Tutti gli altri, invece, lavorano. Corrono come pazzi a siglare contratti, acquistare diritti, contrattare con gli stampatori cinesi e coreani.

Per quanti non lo sapessero (ovviamente è un domanda retorica, perché ormai tutti sanno tutto), la Fiera del Libro di Francoforte, che si svolge ogni anno ad ottobre è la principale manifestazione mondiale del settore. Non si tratta di una fiera aperta al pubblico, salvo l’ultima giornata, ma riservata agli operatori: editori, scout, agenti letterari, scrittori affermati, distributori etc. etc.

Cosa ci vanno a fare gli addetti ai lavori in fiera? A comprare libri naturalmente, non nel senso di acquistare singole copie del volune, ma per trattare i diritti internazionali. Io dò un libro a te, tu dai un libro a me, lo traduciamo nelle rispettive lingue e così il catalogo delle singole case editrici aumenta.

Editori piemontesi in vetrina
Editori piemontesi in vetrina

Di fatto, alcuni editori, quelli di lingua anglosassone per primi, vendono, altri comprano quasi esclusivamente. Per un fattore di lingua anzitutto: un libro in inglese è già pronto per il mercato statunitense, australiano, britannico, ma anche indiano ad esempio. Un libro in italiano, invece no. Accade così che i Paesi con maggiori difficoltà di penetrazione culturale all’estero decidano di sostenere le traduzioni con contributi statali. In altre parole, tanto per fare un esempio, se un editore italiano o americano acquista il diritto di tradurre un’opera polacca, il governo di Varsavia offre un contributo per i costi di traduzione.

Il grande mercato dei diritti lo fanno naturalmente i giganti del settore, con i best seller dei grandi autori. Qualche volta incappano in bufale clamorose, scambiando lucciole per lanterne, così da proporre ai lettori italiani il nuovo vate della letteratura del tal Paese salvo scoprire che il vate in questione, nel suo paese di origine (paese inteso minuscolo, come villaggio) neppure lo conoscevano. Accade di rado, ma accade.

BuchmesseAccanto ai best seller, il secondo mercato dei diritti si concentra sui libri illustrati. In un pianeta nel quale l’analfabetismo di ritorno del mondo industriale sta superando quello di andata del Terzo Mondo, il modo migliore per vendere qualcosa ai lettori è proporre libri nei quali ci sia poco o nulla da leggere. Grandi volumi illustrati, con tante belle fotografie e qualche didascalia, oppure simpatici tascabili con manualetti che spiegano in dodici righe e tante allegre vignette come educare i propri figli, costruire in casa un aeroplano, diventare ricchi o vivere felici. Gli indiani e gli australiani ne propongono di magnifici. Il redattore ordinario si è fatto guardare male perché in uno stand di canguri si è messo a sghignazzare  sui testi di Andrew Matthews. Non preoccupatevi, i diritti delle sue opere sono stati acquistati da una grande casa editrice e presto potrete leggere i suoi nuovi divertenti capolavori. Se l’inglese non è un ostacolo, potete anche scaricare molto materiale gratuito, in ebook o audio mp3, direttamente dal sito dell’autore.

Parliamo ora di editori piemontesi. Bisogna dare atto a Gianni Oliva, assessore alla Cultura della Regione Piemonte, che questa volta ha davvero fatto le cose per bene. Un po’ di merito bisogna riconoscerlo anche a Eugenio Pintore e alle pimpanti ragazze di Ex-Libris, capitanate da Carmen Novella, che hanno pazientemente fatto da balia a una ventina di scatenati e un po’ provincialotti piemontesi armati di valigetta e cataloghi alla ricerca di occasioni per crescere.

Male hanno fatto sicuramente gli assenti, quegli editori che si sono limitati a esporre cinque titoli nel bellissimo stand offerto dalla Regione Piemonte senza affrontare il pur faticoso viaggio in Germania. Francoforte, prima ancora che per fare affari, è una grande occasione per imparare, capire, confrontarsi. Senza contare che, esserci di persona, significa essere visti dai distributori e dai grandi operatori del settore.

Per visitare gli otto padiglioni della Buchmesse non basta un giorno. A dire il vero non ne bastano neppure cinque, a meno di essere veri e propri maratoneti. Bisogna scegliere, organizzarsi e, se possibile, fissare in tempo utile gli appuntamenti, con settimane o addirittura mesi di anticipo. Altrimenti, si rischia di girare a vuoto per gli stand.

Lo stand dei piemontesiIn ogni caso, anche girare da un padiglione all’altro, armati di valanghe di biglietti da visita, è un’esperienza utilissima. Spiare, capire, confrontare sono le tre parole d’ordine per i piccoli editori. Capire come si disegnano bene le copertine, come si articola un percorso su una collana, come si sviluppa un’azione di marketing sul libro. Magari, perché no, rubare idee per nuove pubblicazioni.

Il povero redattore ordinario come mezzi a disposizione non aveva neppure una macchina fotografica per carpire spunti. Il Direttore Editoriale, prima della partenza aveva solennemente dichiarato: «La nostra è una casa editrice di cultura, saldamente ancorata ai valori della tradizione, che rifugge dalla rincorsa ai gadget tecnologici.» In parole povere significava: impara tutto a memoria e se proprio non ci riesci, prendi appunti. Come dotazione aziendale, il redattore ordinario ha ricevuto: due bloc notes, di cui uno tascabile, tre penne e una matita. La matita è servita per fare schizzi delle copertine altrui. Tenuto conto che non ha la minima capacità nel disegnare, potete immaginare fin d’ora quali orrori scaturiranno da questa operazione spionistica sulle copertine di tutto il mondo. Per fortuna, i grafici sanno bene cosa farsene dei suggerimenti del redattore ordinario…

 

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Del romanzo ai tempi della crisi

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Con il trascorrere degli anni, immerso nella lettura dei manoscritti che giungono a catinelle in redazione, ho assistito alla vertiginosa crescita di una narrativa in bilico fra introspezione minimalista e attualità quotidianista. Lungi ogni paragone, quando parlo di introspezione minimalista, ai grandi percorsi di Italo Svevo, quanto piuttosto una passione smodata per un mondo narrativo placentale, ridotto all’io superficiale e ben attento a non indulgere ad approfondimenti, da un lato, quanto non confrontabile con l’attenzione al vissuto dei grandi romanzieri del Dopoguerra, si vogliano citare Pavese o Vittorini, Silone o Brancati, ancorati al momento storico e, in qualche modo, condannati all’epoca di cui sono testimoni. Insomma, storie che si possono ridurre ad una serie ridottissima di fabule.
Fra queste, dopo l’innovazione del romanzo storico di Eco, la ripetizione pressoché infinita di ambientazioni fantastico storiche condite di misteriosi quanto elementari intrighi esoterici.
Al secondo posto, le attualizzazioni della modernità moraviana, con la replica estenuante dei drammi topici della borghesia nostrana, che spaziano dalla condizione di solitudine affettiva femminile intorno alla quarta decade di vita, alla tragedia dei sacrifici di giovani privi dei mezzi di sostentamento vitali, primo fra tutti il credito di telefonia mobile, fino alle cruenti e sanguinarie battaglie per giungere in tempo utile all’ora felice dell’aperitivo urbano.
Infine, complice il successo linguistico di Camilleri, il profluvio dei cosiddetti gialli d’ambiente, dove alla parlata virtualmente in uso a Porto Empedocle si sostituisce di volta in volta quella in uso a San Damiano d’Asti, a Roccaraso o Casal di Principe.
Semplifico, naturalmente, ma come noto l’orizzonte culturale del redattore ordinario appena si innalza al di sopra delle letture ginnasiali. Eppure la semplificazione estrema corrisponde alla maggior parte delle storie che vengono proposte alle case editrici.
Fra i vari modelli ispiratori, uno certamente è invece assente. Potremmo definirlo epico contemporaneo. Se vogliamo è il modello che ha caratterizzato la narrativa italiana dell’Ottocento, si pensi a Rovani, ma anche, con una prospettiva completamente diversa, Verga o Fogazzaro. Quello che viene definito “grande respiro”, quando identifica opere di elevata qualità, oppure “polpettone” quando riferito alla produzione seriale di bassa lega.
 Ampio respiro o polpettone, l’epica ha caratterizzato la produzione di molti Premi Nobel stranieri. Anche i più leggeri romanzi di Steinbeck dipingono il ’29 dell’ovest americano, come la Macondo del sud di quel continente incarna nazioni intere nelle loro crisi devastanti.
In Italia abbiamo avuto la grande stagione della narrativa partigiana, con una coralità paragonabile, e, in tempi recenti, la narrativa di impegno politico, dove il politico è prevalso sull’impegno al punto da diventare non di rado ideologico.
Ora, nel nostro Ventinove, il redattore ordinario non ha ancora visto giungere manoscritti che parlino di uomini e topi, mentre nelle città gli uni e gli altri si contendono la perlustrazione delle immondizie, né di aureliani sconfitti, che pure nelle valli alpine collezionano disfatte devastanti quanto quelle degli eterni rivoluzionari sudamericani. Il massimo dell’epica è, come due o tre anni or sono, il racconto breve della precarietà. Romanzo a termine, a progetto, mi verrebbe da ironizzare.
Non è un invito o una polemica, ma un interrogativo senile, e come tale limitato e ottuso, sulla direzione che prenderà, o che verosimilmente non imboccherà, il romanzo italiano della seconda decade del secolo. Racconterà di vecchi che razzolano fra gli scarti alimentari dei mercati metropolitani? Di uomini e talvolta famiglie residenti in vecchi furgoni? Di uomini che si suicidarono sotto il peso dei debiti e delle imposte? Di giovani e di poliziotti che si affrontarono a muso duro per una galleria in una valle sperduta ai confini della Nazione? Se vogliamo, sono tutti temi epici, come molti altri della nostra grande depressione. O prevarrà la leggerezza insostenibile di una borghesia sconfitta?
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Enrico Giustiniani

Enrico Giustiniani
Enrico Giustiniani

Enrico Giustiniani è nato a Roma nel 1966, laureato in economia con lode a 22 anni, dottore commercialista, pubblicista, attualmente lavora presso la Banca Finnat di Roma dove si occupa soprattutto di tematiche fiscali.

Attualmente coordina un gruppo di lavoro AIAF (Associazione Italiana Analisti Finanziari) per la pubblicazione di un quaderno tematico sul rating Islamico per le società Italiane. Ha pubblicato diversi articoli su temi economici e finanziari. Da diversi anni si interessa di etica e del rapporto tra religione e finanza soprattutto nella ricerca della via per un nuovo umanesimo nell’economia: non solo la competenza, ma anche la coscienza dell’uomo deve emergere nel mondo del lavoro. Il distacco tra economia reale e quella virtuale della finanza non è dato solo dalla speculazione, ma soprattutto dall’incapacità degli operatori finanziari di comprenderne gli effetti sulle persone.

Nella collana I SAGGI di Marcovalerio ha pubblicato: Elementi di Finanza Islamica e Finanza, etica e religione.