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Chi scrive ritiene che la cabina di regia non coincidesse necessariamente con i centri decisionali “ufficiali”, tanto in Francia quanto in Piemonte e, comunque, che anche le scelte di cui singoli uomini erano capaci, detenendo le necessarie deleghe e influenza, fossero suggerite, vale a dire imposte, da entità “occulte”. Cavour ebbe certamente un ruolo primario, fu tra coloro che “decidevano” ma la sua responsabilità si può considerare collegiale.
150° DEL REGNO D’ITALIA
IL REFERENDUM SU NIZZA FRANCESE UN IMMENSO SBAGLIO
Una recensione di Aldo A. Mola
Il diavolo si nasconde nei dettagli. In politica il diavolo è la babele delle lingue, l’uso improprio di termini ambigui. È il caso di plebiscito e referendum, usati erroneamente quali sinonimi di genuina volontà e sovranità popolare, di vera democrazia. La verità è un’altra. Plebiscito significa decreto della plebe. Plebe significa… plebe. Nell’antica Roma, sempre rimpianta, la sovranità non spettava solo ai comizi della plebe convocati dai tribuni. Essa era esercitata dal Senato e dal Popolo, abbreviato in SPQR (Senatus Populusque Romanus, una formula che è stata riletta in vari modi, più o meno simpatici).
Tribuno e tribunizio, plebe e plebiscito suonano male. Nell’Ottocento il termine plebiscito è stato usato in Italia per indicare il voto sull’appartenenza a uno o a un altro Stato. Fu il caso dei plebisciti che il 15-16 e il 22- 23 aprile 1860 decisero l’appartenenza della contea di Nizza e della Savoia. È una storia lunga e dolente, elusa nel 150°del regno d’Italia ma ora documentata nell’appassionato studio di Gustavo Mola di Nomaglio in Nazionalità, identità e ragion di Stato (Torino, ed. Marcovalerio), pubblicato dall’UniTre del Piemonte, che si conferma associazione culturale benemerita. Nizzardi e savoiardi non furono affatto liberi di scegliere: vennero chiamati a ratificare gli accordi segreti stipulati il 12-14 marzo1860 tra il governo di Torino e quello di Parigi, a loro volta derivanti dalla convenzione del gennaio 1859 (altrettanto segreta) tra Vittorio Emanuele II re di Sardegna e Napoleone III, che perfezionò i preliminari di Plombières ove il 21 luglio 1858 Cavour e l’imperatore si incontrarono di nascosto e concordarono che la Francia avrebbe aiutato il «Piemonte » a estorcere il Lombardo-Veneto all’Austria e sarebbe stata compensata con la cessione della Savoia e di Nizza. Per di più la primogenita di Vittorio Emanuele II, Clotilde, avrebbe spostato il cugino di Napoleone III, Gerolamo Napoleone Bonaparte. Napoleone non stette ai patti e con la pace di Zurigo ottenne per il Piemonte solo la Lombardia (per di più senza Mantova).
Ma anche il governo di Torino andò per la propria strada. Attizzando la cacciata del granduca dalla Toscana (un Asburgo-Lorena), dei duchi da Parma (un Asburgo) e da Modena (un Borbone) e dei cardinali di Pio IX da Bologna e dalle Romagne, favorì l’insediamento di assemblee sedicenti sovrane e l’indizione di plebisciti che il marzo 1860 chiesero l’annessione di quelle terre alla corona di Vittorio Emanuele II re costituzionale.
Nella marcia di avvicinamento a questo risultato, fondamentale per l’avvento dell’unità d’Italia, Napoleone III presentò il conto:Torino doveva «consegnare la merce ». Perciò il re indisse i plebisciti confermativi e Cavour usò la macchina del governo per ottenere la ratifica popolare: un pannolino sulla piaga. La Savoia era francofona, ma non era francese, cioè non si riconosceva affatto nella visione dello Stato da un secolo prevalente in Francia. Geograficamente italiana e popolata da liguro-piemontesi, Nizza era sabauda dal 1387 e aveva condiviso le sorti di Casa Savoia nella buona e nella cattiva sorte. Cavour lo sapeva. Cinicamente per alcuni, saggiamente per altri decise di sacrificare anche Nizza in nome dell’espansione verso l’Italia padana e centrale.
Ebbe ragione,ma non solo per merito suo; anzi Mola di Nomaglio pubblica l’imponente elenco dei savoiardi e dei nizzardi che optarono per la cittadinanza sarda (e poi italiana). Solo francofili sprovveduti ancora inneggiano a una vicenda che mostra come anche Cavour accettasse i metodi politici di Luigi XIV: non la nazione ma la ragion di Stato,che spesso è capriccio.
Il 6 aprile 1860 Garibaldi interpellò il governo per immediate spiegazioni, ma Cavour fece slittare al 12 un dibattito che si annunciò rovente e si concluse solo il 29 maggio con 229 sì, 33 no, 23 astensioni e 69 assenze. Uno dei deputati assenti, il nizzardo Giuseppe Garibaldi, da due giorni era entrato in Palermo a capo dei Mille, sottratta a Francesco II di Borbone. Per l’Italia stava facendo più di quanto avessero osato sperare anche i patrioti più ottimisti. Che cosa volevano savoini e nizzardi quando votarono? Volevano per sovrano Napoleone III perché tutelava Pio IX o volevano la Francia di Robespierre e di Victor Hugo? Vescovi e clero fecero votare per l’annessione alla Francia, che poi nel 1905 varò leggi anticlericali così dure che la Santa Sede ruppe le relazioni diplomatiche con Parigi. La storia era dominata dall’ambiguità delle parole: Vittorio Emanuele II definì «cessione » il trasferimento dei suoi domini a Napoleone III.
La Francia parlò invece di «riunione» della Savoia e di Nizza a una Francia, di cui non avevano mai fatto parte. Quello del 1860 fu uno dei tanti referendum (in latino significa riferire: i francesi lo usano come «decisione popolare ») quesiti oscuri, discussioni accese, spesso per ratificare quello che è già stato deciso in altre sede. La tormentata vicenda di Nizza fa ricordare che l’annessione di Trento e Trieste non fu sottoposta a plebiscito, ma neppure lo furono le mutilazioni imposte all’Italia dal trattato di pace del 10 febbraio1947. La Jugoslavia annetté territori italiani con la forza, ma poi deflagrò. Chi di spada ferisce…
Il «referendum» è l’illusione di Jean-Jacques Rousseau secondo il quale solo il voto popolare ratifica le leggi: è la «democrazia diretta», che va bene per approvare la municipalizzazione dei servizi di un piccolo comune ma non funziona per scelte grandi e lungimiranti, che non possono essere lasciate alla piazza, che è oclocrazia, non democrazia. Come scrisse la contessa Maria Martini Giovio Della Torre, la svendita di Nizza e della Savoia fu un «immenso fallo»: i plebisciti e i referendum coprono le vergogne, ma non risolvono.
È la politica a dover governare, tramite il Parlamento: a continuazione del genere misto di Stato che fece grande l’antica Roma. I plebisciti dettero il risultato che si attendeva, persino con eccessi. In alcuni casi i voti favorevoli superarono il numero degli aventi diritto. Il plebiscito fu genuino?
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