Massimo Candellero
Maschere dell’Himalaya e del Tibet

 150,00

COD: 9788875473075 Categoria: Tag: , , ,

Descrizione

Il Tibert e l'area Himalayana nei secoli VIII e IX
Il Tibet e l’area Himalayana nei secoli VIII e IX

MASCHERE DELL’HIMALAYA E DEL TIBET

MASKS OF THE HIMALAYAS AND TIBET

MASQUES DE L’HIMALAYA ET DU TIBET

Volume in grande formato, interamente a colori.

Copertina cartonata con sovraccoperta

360 pagine, oltre 150 illustrazioni inedite

L’opera più completa mai pubblicata in Italia sulla tradizione religiosa del Tibet e dell’Himalaya

La regione himalayana costituisce un’area d’estremo interesse storico-culturale, per la varietà delle sue espressioni religiose ed artistiche. Tra queste ultime, le meglio conosciute e studiate sono l’arte e l’architettura classiche nepalesi, in particolare della valle di Kathmandu, che è ricchissima di testimonianze d’altissimo valore, ispirate ai principi dell’Induismo e del Buddhismo, che proprio di lì si irradiò verso il plateau tibetano.

 

Solo in questi ultimi decenni l’attenzione dei ricercatori si è applicata pure allo studio di forme religiose ed artistiche arcaiche, che sono manifestazioni d’un ben più antico substrato storico e della complessa realtà etnica della regione. Zone remote prima inaccessibili si sono infatti aperte alla possibilità di esplorazione, mentre una grande varietà di prodotti artistici, di diverso valore estetico ma sempre di rilevante interesse culturale, è apparso progressivamente sul mercato, offrendosi all’esame di studiosi e collezionisti. Purtroppo, la mancanza di una adeguata documentazione rende sovente incerte le origini e talora gli stessi significati di tali oggetti e ciò anche a cagione delle profonde trasformazioni sociali e culturali che hanno investito i popoli di quelle aree.

 

fotografiaLe maschere sono tra i prodotti che più spunti offrono alla riflessione storica, artistica e religiosa: quelle himalayane hanno grande varietà, ma possono essere distinte in tre gruppi.

Il primo, certo il meglio conosciuto, è il gruppo costituito dalle maschere “classiche“, che caratterizzano i drammi rituali e le cerimonie religiose induiste e buddhiste. Come vedremo, esse sono codificate da una precisa simbologia e si attengono ai canoni d’una iconografia che esprime una gamma di tipi e caratteri immediatamente riconoscibili. Presso i Newar del Nepal centrale, le maschere di vari dei e dee dell’Induismo appaiono così in rappresentazioni drammatiche, ispirate ad episodi del Râmâyana e del Mahâbhârata, o comunque in danze e cerimonie che si svolgono durante alcune festività annuali. Presso genti di fede lamaista, nelle alte valli himalayane, le maschere di tipo classico sono impiegate nelle complesse rappresentazioni rituali del Buddhismo mahayanico: dando volto ad un vasto pantheon di Buddha, Bodhisattva, Protettori della fede, santi buddhisti ed altre figure leggendarie derivanti da antiche tradizioni locali. Tali danze mascherate – conosciute con il nome di Cham – sono eseguite pubblicamente dai monaci, col fine di educare ed edificare il popolo attraverso fondamentali insegnamenti religiosi. Esse possono però essere eseguite anche in forma più riservata,  all’interno dei  templi, od in modo ancor  più  segreto, caratterizzandosi come riti d’esorcismo e di propiziazione, o come procedimenti magico-rituali rivolti  all’ottenimento di peculiari finalità spirituali.

Date alcune affinità con aspetti dell’antico dionisismo, si è avanzata l’ipotesi che l’origine di tali danze sia da ricercarsi in un remoto influsso della tradizione teatrale greca. Questa si sarebbe irradiata dall’area del Gandhara, cioè dalla parte nord-occidentale del sub-continente indiano, dove forte fu la presenza culturale greca, a seguito delle conquiste di Alessandro. Tali forme di espressione drammatica sarebbero poi state utilizzate e favorite dai primi patrocinatori del Buddhismo – quale il grande imperatore Aśoka – per diffondere presso il popolo i fondamenti del Dharma. Se anche non fossero riconducibili alle fasi iniziali del Buddhismo, tali liturgie mascherate avrebbero comunque storia antica, risalendo quanto meno al Medioevo ed agli insegnamenti elaborati presso centri quali l’università di Nalanda, nel Bihâr. A seguito dell’espansione islamica, tali danze, da quella regione dell’India nord-orientale, si sarebbero diffuse sempre più a nord, e dunque verso le regioni  himalayane, raggiungendo poi il Tibet e la Mongolia:  giovandosi del progressivo affermarsi del Tantrismo.

Un secondo gruppo in cui possono essere raggruppate le maschere himalayane è rappresentato da quelle “di villaggio”: derivazione rustica di un’arte classica che aveva caratteristiche più colte e cittadine, poiché patrocinate da una èlite religiosa, o dalle numerose corti dei vari regni e principati che un tempo governavano il Nepal centrale. Tali maschere paesane, o “di villaggio”, provengono da aree rurali, quali il Terai. Esse sono il prodotto spontaneo dell’invenzione popolare, che si ispira ad una consolidata tradizione iconografica, senza però seguirla in modo rigoroso, ma interpretandola in forma più libera. Pur incorporando anche più recenti elementi buddhisti ed induisti, esse hanno come tratto saliente la rappresentazione di divinità locali, espressioni di antichi miti e di tradizioni tribali regionali. Tra tali rappresentazioni, una delle più note e meglio studiate è quella di Lakhe: demone che compare in Nepal nella festa di Indrajatra  e che ha indubbie similitudini con le raffigurazioni della Gorgone mediterranea. Maschere paesane sono impiegate da gruppi rurali quali i Monpa ed i Sherdukpen: popoli di fede buddhista, abitatori del Bhutan e delle regioni attigue dell’India nord-orientale, quale l’Arunachal Pradesh. Esse appaiono infatti nella loro danza del cervo, in quella dello yak ed in quella del leone e del pavone. Danze simili sono eseguite anche dai Memba e dai Khambas, viventi nelle alte valli di confine. Maschere popolari appaiono pure in drammi morali dal contenuto gioiosamente edificante che caratterizzano il folklore delle genti tibetane. Il più importante tra essi è l’Ache Lamo  (v. tav. n° 43), che viene eseguita da laici, anziché da monaci, come il già citato Cham. In Nepal essa è rappresentata dagli Sherpa – nel distretto di Solu-Khumbu – o dagli Shiva dell’Olangchung Gola.

Maschere himalayaneIl terzo gruppo di maschere himalayane è costituito da quelle che possiamo definire “arcaiche”. Esse esprimono e conservano il retaggio d’un antico sciamanesimo pan-asiatico, che ci riconduce ad espressioni e pratiche magico-religiose risalenti al paleolitico. Tali maschere dovevano essere impiegate in riti oracolari, d’iniziazione o di guarigione e provengono da aree tribali assai remote, dove esemplari d’incerta datazione, ma sicuramente assai antichi, sono stati conservati e sovente riutilizzati con impieghi per lo più apotropaici: essendo sospese, come avviene tra i Takhali del Nepal occidentale, su stipiti d’ingresso, varchi od altari domestici: secondo una funzione protettiva che diventerà poi di tipo architettonico, presso le più tarde culture urbanizzate. Quella remota origine – in senso spaziale, temporale, ma ancor più culturale – rende spesso impossibile una loro piena comprensione ed una precisa attribuzione etnica o territoriale. Incerta è infatti la stessa individuazione delle loro originarie modalità d’impiego: non potendosi ricostruire il primitivo contesto culturale che le ha generate e che è stato modificato in maniera irreversibile  dall’incontro di nuovi valori culturali e religiosi, nonché dalle profonde trasformazioni sociali che, appunto, hanno ormai investito anche quelle aree. La morfologia di questo terzo gruppo di maschere himalayane permette di riconoscere alcune tipologie, grosso modo riconducibili ad aree diverse.

Tali tipologie sono però assai sfumate, tanto da non poter essere definite come espressioni di un’arte tribale in senso stretto. La mescolanza etnica, i reciproci scambi e le contaminazioni culturali non hanno infatti qui consentito il costituirsi – come talora poté avvenire in Africa – di singole scuole di artigiani professionisti, che si riconoscessero in un comune linguaggio: patrimonio tipico, esclusivo e caratterizzante d’ogni tribù.

 

Massimo Candellero

Maschere dell’Himalaya e del Tibet

volume in grande formato, centimetri 20 x 28,

rilegato con sovraccoperta, interamente illustrato a colori

pagine 360

 

Indice e contenuti del volume

Parte I

  • Distinzioni
  • Maschere classiche
  • Maschere di villaggio
  • Maschere arcaiche

Aree di provenienza

  • Il Terai
  • I Tharu
  • I Rajbansi
  • I Rabhas
  • Satar e Santal

Bengala, Bihār, Jharkand e Orissa

  • Il Chhau
  • Ravankata e Ramlila
  • Gambhira
  • Polia e Desi
  • I Dhimal

Il medio Himalaya

  • I Kiranti
  • I Rai
  • I Limbu
  • Tamang, Magar e Gurung
  • Le valli centrali

Le alte terre

  • La Mongolia
  • Gli Sherpa
  • Il Sikkim
  • Il Bhutan

Storia e simbologia del ’Chams

  • La tradizione Nyingmapa e le danze sacre
  • La tradizione Sakyapa
  • La tradizione Kagyugpa
  • La tradizione Gelugpa
  • Alcune figure del folclore antico

Maschere cultuali e oracolari

Parte seconda

  • Apparato iconografico
  • Riferimenti bibliografici
  • Indice dei nomi delle divinità e delle personalità storiche
  • Indice delle etnie e delle località

MASKS OF THE HIMALAYAS AND TIBET

Book in italian language,large format, full color

360 pages over 150 pictures

A short introduction by the Author

The Himalayan region is an area of extreme historical and cultural interest, for the variety of its religious and artistic expressions. Among these, the best known and studied art and architecture is the classic Nepalese one of the Kathmandu valley, which is full of testimonies of the highest value, based on the principles of Hinduism and Buddhism, which just there was irradiated to the Tibetan plateau.

Only in recent decades the attention of researchers has been applied also to the study of the archaic forms of religion and art, which are manifestations of a much older historical substrate and of the complex ethnic reality of the region.

Remote areas previously inaccessible are in fact now open to the possibility of exploration, while a wide variety of artistic products of different aesthetic value but always of considerable cultural interest, appeared progressively on the market.

Unfortunately, the lack of proper documentation often makes uncertain the origins and sometimes the same meanings of these objects, and this also on account of the profound social and cultural transformations that have affected the peoples of those areas.

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