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Luglio, col libro che io voglio…

blue and white water during daytime

Chi vi regala uno zaino, chi una borsa, e chi secchiello e paletta. Noi invece vi facciamo lo sconto del 25 per cento su tutti i libri del catalogo acquistati durante il mese di luglio.

Vale per i libri Marcovalerio, i libri Vita, Ivo Forza, Ajisai. Insomma proprio per tutti. Senza limite minimo di acquisto e, come sempre, senza spese di spedizione.

Cosa dovete fare per ottenere lo sconto?
Assolutamente NULLA. Lo applichiamo automaticamente noi prima che procediate al pagamento. Controllate il carrello della spesa e vedrete applicato lo sconto speciale LUGLIO.

L’offerta è valida per gli acquisti online sul sito www.marcovalerio.it effettuati dal 1 al 31 luglio 2022 compresi e per i libri disponibili a magazzino.

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Afé dl’àutr sécol

VENERDÌ 1 LUGLIO A FROSSASCO LA PRESENTAZIONE DEL LIBRO “AFÉ DL’ÀUTR SÉCOL”

Per certi versi si potrebbe dire che è un ritorno alla lingua originaria nella quale è stato pensato. Il libro di Piero Righero “Cose dell’altro secolo” esce ora tradotto (virà) in lingua piemontese da Carlin Porta con il titolo “Afé dl’àutr sécol”. La prima presentazione pubblica si svolgerà venerdì 1 luglio alle ore 20.45 presso il Museo dell’Emigrazione di Frossasco. Interverranno l’autore Piero Righero, l’illustratrice Silvia Aimar. A presentare la serata Franco Cuccolo, già sindaco di Frossasco. 

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Scatta una foto ed entra nella Storia di Pinerolo

Scatta una foto ed entra nella storia di Pinerolo

Il Centro Studi Silvio Pellico, con il patrocinio della Città di Pinerolo, in collaborazione con Vita Diocesana Pinerolese, Circolo Sociale 1806, Rotary Club di Pinerolo, Aeffefoto e Servizi Grafici, bandisce il concorso “Scatta una foto ed entra nella storia di Pinerolo”.

Tema

Ai fotografi si chiede di proporre fino ad un massimo 5 immagini inerenti la città Pinerolo (panorami, monumenti, scorci, particolari etc…). Le foto selezionate dalla giuria saranno inserite nell’opera “Pinerolo 1000 anni di storia” curato da Ilario Manfredini ed edito da Marcovalerio, la cui pubblicazione è prevista per l’autunno 2022.

Partecipazione

La partecipazione è gratuita. Le opere (fino ad un massimo di cinque) dovranno essere inviate alla mail marcovalerio@marcovalerio.it in alta definizione, formato jpg o tiff, nominate con nome e cognome autore più numero progressivo (ad es. mariorossi1.jpg). Nella mail indicare in oggetto: “Scatta una foto ed entra nella storia di Pinerolo”.

Il termine ultimo per la consegna è venerdì 15 luglio.

Il concorrente, per tutte le opere accettate, concede al Centro Studi Silvio Pellico la licenza d’uso completa, non esclusiva e irrevocabile. Il Centro Studi Silvio Pellico si riserva il diritto, senza che nulla sia dovuto all’autore, di pubblicarle sui propri media, cartacei, digitali e web. Si riserva, inoltre, il diritto di intervenire graficamente sulla fotografia per le esigenze editoriali dell’opera. 

Con l’iscrizione al concorso, l’autore accetta il presente regolamento e dichiara di possedere la paternità e i diritti di utilizzo dell’immagine presentata e le eventuali necessarie liberatorie.

Insieme alle fotografie è necessario inviare il “Modulo di partecipazione e liberatoria/autorizzazione per la pubblicazione delle fotografie” compilato e firmato.

Giuria e premi

La Giuria tecnica selezionerà le fotografie che saranno inserite nell’opera “Pinerolo 1000 anni di storia” edito da Marcovalerio. Nella stessa opera saranno inseriti i nomi degli autori delle fotografie.

Il fotografo primo classificato si aggiudicherà una copia numerata e autografata dell’opera (del valore di 100 €) e una stampa artistica in grande formato della propria fotografia. 

Per info: marcovalerio@marcovalerio.it

Scarica il regolamento e il modulo di partecipazione con la liberatoria/autorizzazione per la pubblicazione delle fotografie

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Pietro Melzi al Salone del Libro

SARS-COV2- E COVID-19 è il libro inchiesta di Pietro Melzi per chi vuole approfondire in modo serio e documentato tutto quello che è accaduto nei due anni di pandemia. Ne parleremo con l’Autore alla Terrazza Piemonte del Salone del Libro di Torino, Padiglione 2– Stand L09-K10, giovedì 19 maggio alle ore 17.

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Jack London in edizione per ipovedenti nelle traduzioni di Gian Dàuli

La collana di libri a grandi caratteri per lettori ipovedenti e dislessici di Marcovalerio Edizioni, attiva dal 2000 con oltre 150 volumi resi disponibili negli anni, si arricchisce di altri titoli per ragazzi giovani e ragazzi di ogni età, che amano le letture di avventura. Ve li riproponiamo in cinque raccolte, ordinate per tema. Dal grande Nord alle Hawaii, i temi cari allo scrittore statunitense vissuto tra Ottocento e Novecento e morto a soli 40 anni dopo una vita avventurosa, che trasferì nei suoi romanzi e racconti.

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La Fabbrica del Libro

Grazie alla collaborazione con l’assessorato alla cultura della Città di Pinerolo, in provincia di Torino, abbiamo avviato un progetto che, nell’arco dei prossimi mesi, ci porterà a raccontare, in incontri pubblici e in streaming, la nascita e la realizzazione di un’opera di saggistica. Ecco i filmati dei primi incontri.

TG VIDEO NOVARA, LA PRESENTAZIONE DELLA FABBRICA DEL LIBRO


LA FABBRICA DEL LIBRO – IL RAPPORTO FRA COMMITTENZA E PRODUZIONE DELL’OPERA


LA FABBRICA DEL LIBRO – SPECIALE ANNIVERSARIO DELLA LIBERAZIONE – LA RESISTENZA DELLA CULTURA


LA FABBRICA DEL LIBRO – III PARTE – COSA È UN ARCHIVIO STORICO E QUALI TESORI PUO’ CONTENERE


LA FABBRICA DEL LIBRO – IV PARTE – PROGETTARE, DISEGNARE, CONFEZIONARE


LA FABBRICA DEL LIBRO – V PARTE – I LIBRI DI PIETRA – TARGHE E SEGNI NASCOSTI NELLE STRADE, CON ITALIA NOSTRA


LA FABBRICA DEL LIBRO – VI PARTE – AVVENIMENTI E PALAZZI, SEGNI PERDUTI E SEGNI PERENNI DEL PASSATO, CON ITALIA NOSTRA


LA FABBRICA DEL LIBRO – VII PARTE
IL PROF. ALESSANDRO CROSETTI E IL DR ILARIO MANFREDINI AFFRONTANO IL DELICATO RAPPORTO FRA RIGORE SCIENTIFICO E DIVULGAZIONE IN UN’OPERA DESTINATA AL PUBBLICO


LA FABBRICA DEL LIBRO PARTE VIII
SPECIALE VISITA A PALAZZO DEGLI ACAJA DI PINEROLO
Con la presentazione degli affreschi monocromi non visibili al publbico, grazie a Italia Nostra Sezione del Pinerolese.


LA FABBRICA DEL LIBRO INTERVISTA IL PROF. DARIO SEGLIE
CHE RACCONTA IL TERRITORIO PINEROLESE
DELL’ERA PREISTORICA ALL’EPOCA ROMANA


LA FABBRICA DEL LIBRO – RISVEGLIO CULTURALE – LETTURE AD ALTA VOCE AL FONTANILE ULÈ DI VIGONE (TO)


LA FABBRICA DEL LIBRO – UNA VISITA VIRTUALE ALLA PINACOTECA DI PINEROLO – I NUOVI ALLESTIMENTI DEI MUSEI CIVICI DI PINEROLO

 


LA FABBRiCA DEL LIBRO – VISITA IN ANTEPRIMA AI MUSEO CIVICI DI PINEROLO – IL MUSEO DI ARCHEOLOGIA A PALAZZO VITTONE


 

PRESENTAZIONE DI “PINEROLO MILLE ANNI DI STORIA” AL CIRCOLO SOCIALE DI PINEROLO – 25 SETTEMBRE 2021

 

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Scompare con Vittorio Mathieu un gigante della Filosofia

Vittorio Mathieu e Aldo Rizza in udienza dal Vescovo di Pinerolo Mons. Debernardi, giugno 2014

Ci sono uomini che sono “macchine del tempo”. Giganti che hanno attraversato la storia e che la storia hanno fatto. Vittorio Mathieu aveva stretto la mano di Ezra Pound. E forse un giorno qualcuno potrà dire in mia memoria che ebbi l’onore di stringere la mano di Vittorio Mathieu. Ecco, lo ammetto, ci sono opere, ci sono incontri, ci sono momenti, che giustificano la vita intera di un uomo, anche di un piccolo uomo come il sottoscritto. Sì, ecco. Io conobbi Vittorio Mathieu.

Marco Civra


Qui trovate le immagini e le registrazioni dell’ultimo incontro pubblico con il grande filosofo


Vittorio Mathieu (Varazze, 12 dicembre 1923 – Chivasso, 30 settembre 2020) si laurea in filosofia teoretica nel 1946 all’Università di Torino con Augusto Guzzo, filosofo rappresentante dello spiritualismo cristiano ed autore di importanti studi su Immanuel Kant. Libero docente nella stessa materia nel 1956, dal 1958 ne fu professore incaricato, e dal 1961 professore ordinario di filosofia teoretica all’Università di Trieste. Primo vincitore del concorso di Storia della filosofia del 1960, dal 1967 fu ordinario di filosofia fino al ruolo di professore emerito di filosofia morale, nell’Università di Torino.

Fu vicepresidente del Comitato esecutivo UNESCO e membro dell’Accademia dei Lincei. Grande studioso di Immanuel Kant e Henri Bergson, cui ha dedicato ampia parte dei suoi lavori e importanti traduzioni delle opere. Si occupò di inoltre di estetica e critica letteraria


Testimonianze e ricordi

Un anno fa Vittorio – pur allettato, come mi disse la sua nuora – continuava a leggere diverse ore al giorno; poi le sue condizioni sono via via peggiorate. Quella della lettura e della facilità di lettura era proverbiale tra i suoi colleghi. Ricordo che lesse velocemente le bozze dei nostri volumi che ancora conservo con le sue molte note a margine.

Lavorare con lui e per così tanti anni (la prima edizione del nostro lavoro uscì per la Calderini di Bologna nel 1999, l’ultima ulteriormente arricchita nel 2014 per la Marcovalerio) è stato un privilegio. Con lui si respirava aria di libertà e si aveva la percezione che in lui convergesse in modo alto una tradizione filosofica italiana di respiro europeo (da Guzzo, a Mazzantini, a Del Noce del quale fece la commemorazione in Senato).

Fermo nelle sue idee, mantenne sempre un itinerario che gli consentì d’essere creativo e profondo filosoficamente e fedele cristiano insieme; fedeltà che non solo si manifestò con la sua assidua pratica religiosa, ma anche con un impegno nell’associazionismo cattolico come Nova Spes.. Ricordo di averne accostato il pensiero attraverso il suo lavoro su Kant, poi attraverso Bergson e infine nell’incontro con il suo filosofo più amato: Plotino.

Non credo vi sia stato filosofo italiano più profondo di lui nella conoscenza del pensiero tedesco e della lingua tedesca. Politicamente fu sempre al Centro, prima con la Democrazia Cristiana e poi con Forza Italia. Importantissimo il suo impegno con l’Enciclopedia Italiana, con l’Accademia dei Lincei. Numerose le riviste cui collaborò in Italia e Germania. Insomma non si potrà proseguire gli studi filosofici senza passare da Vittorio Mathieu.

Aldo Rizza
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La fine di Internet… (con una nota sulle violazioni da parte di Huawey)

city buildings during night time

city buildings during night time

Era l’estate del 1990. Infuriava la guerra in Medio Oriente, dopo l’invasione del Kuwait da parte dell’esercito iracheno. Internet esisteva già, nella sua struttura tecnologica, ma il world wide web sarebbe nato soltanto un anno più tardi.

Due giovanotti smanettoni – oggi li definiremmo hacker – violando la rete Itapac, una tecnologia a pacchetto che oggi ci pare primitiva ma che all’epoca sembrava un’innovazione futuristica, fischettando dentro un accoppiatore acustico per agganciare la portante, si collegavano da Torino con New York, dove un collega smanettone teneva aperto un canale telematico con Tel Aviv, nelle ore di tensione del conflitto appena esploso. Non c’era Twitter, non c’erano gli smartphone, e la notizia che erano stati lanciati 42 missili SS-1 Scud sul territorio di Israele dilagò in diretta grazie a poche righe battute su uno schermo da un hacker ebreo prima di interrompere la comunicazione e correre nei rifugi antiaerei.

Accoppiatore acustico

Internet arrivò poco dopo, e la grande Rete mondiale, che attraverso il monitor ci permette di leggere le notizie della CNN, guardare i filmati di un meteorite in Siberia, farci proporre improbabili affari milionari dalla Nigeria e acquistare cianfrusaglie in Cina, senza muoverci dalla sedia, ci ha abituati poco a poco all’idea che i confini globali siano definitivamente superati. Tutto è a disposizione. Anche i desideri più loschi e repressi hanno un proprio luogo virtuale, il dark web raggiungibile tramite Tor.


Internet sta cambiando rapidamente. Purtroppo perdendo mano mano la sua globalità. La guerra tecnologica fra Stati Uniti e Cina per le tecnologie 5G, le accuse reciproche di controllo sui “big data” – la mole immensa di informazioni che ciascuno di noi riversa in Rete semplicemente navigando e che permette, a puro titolo di esempio, a Facebook di propinarci la pubblicità dei cateteri se abbiamo scritto una mail alla zia per sapere dove acquistare i pannoloni per il nonno incontinente – sono solo un aspetto di questa mutazione in atto.

Lo sviluppo dell'”Internet delle cose” – quella tecnologia che ci permette di accendere a distanza un termostato in montagna con una app del nostro telefono – ha creato una corsa all’accaparramento di dati che hanno valore immenso: la geolocalizzazione automatica di tutte le fotografie e filmini che riversiamo qua e là, la tracciatura dei nostri spostamenti, e, infine, il nostro indirizzo di posta elettronica, per tempestarci di pubblicità e inviti truffaldini.

Il costo di questa “guerra dei dati” si riversa sulla Rete. Se ne accorgono i webmaster, i tecnici che gestiscono i siti Internet grandi e piccoli, perché il carico di flusso aumenta costantemente, non perché aumentano i visitatori, ma perché migliaia di “bot”, di motori di ricerca automatici, scansiscono la Rete e intasano i siti web talvolta fino a farli collassare.

A Google, Bing e agli altri di ricerca noti, si accodano migliaia di “spider” che passano in rassegna i siti internet per carpire informazioni, email, riempire in modo automatico e invadente i moduli di contatto con proposte improponibili e del tutto prive di interesse, copiare informazioni e creare siti clone, prelevare file e distribuirli su forum russi o turchi di pirateria e così via.

A queste migliaia di mosche ronzanti, si è aggiunto da qualche giorno Petalbot, il motore di ricerca in fase di lancio da parte di Huawey dopo l’espulsione del colosso della telefonia cinese dalla galassia Google. Petalbot non rispetta le “regole” di accesso di motori. Se io bloccate dagli ip cinesi si ripresenta da un ip di Singapore, che però si traveste a ip nigeriano per ingannare ulteriormente i blocchi. Non molla e non demorde. Con tutta la potenza del colosso che lo ha lanciato dentro ai vostri siti e con tutta l’arroganza e la violazione di ogni regola.

Così, giorno dopo giorno, i webmaster iniziano a bloccare, con plugin come IQ Block Country o altri simili, l’accesso ai visitatori delle nazioni che non portano alcun tipo di traffico utile al sito internet, ma anzi ne intasano e danneggiano la funzionalità.

In fondo, non ha alcun senso lasciare aperto un sito che vende libri italiani a visitatori turchi e di buona parte dei paesi islamici, visto che la quasi totalità del traffico che proviene da Turchia, Bangladesh, Pakistan ed Emirati Arabi è un tentativo di sfondare le difese del sito e inserire filmati di propaganda della Jihad. Non ha senso lasciare aperto il sito ai visitatori russi, visto che quasi sempre i contenuti vengono “analizzati” soltanto per copiarne una parte nei forum di pirateria che accolgono copie dei libri in violazione del copyright. Togliamo anche la Nigeria, per le email di scam, Singapore per i motori pubblicitari; Albania, Bulgaria e Olanda per i continui tentativi di accedere a immaginari archivi di carte di credito. Infine togliamo gli account universitari statunitensi e sudafricani, perché palestra di giovani hacker; quelli delle ex repubbliche sovietiche e tedeschi, perché generano soltanto commenti indesiderati.

Una chiusura progressiva che coinvolge i piccoli siti Internet, ma che ormai pervade anche le grandi piattaforme internazionali. Se cerco su Google Italia trovo gli stessi dati che ottengo cercando su Google USA? A parte il fatto che se non sapete come “truccare” il vostro ip facendo credere di essere visitatori di un Paese diverso dal vostro non riuscirete neppure ad accedervi, fate qualche ricerca. Magari su Amazon Italia e Amazon UK o Amazon JP. Merce diversa, prezzi diversi.

Alla fine cosa resta? Resta una Rete fatta di visitatori nazionali, e neanche completa. Quello che era nato come il sogno della globalità senza confini, della possibilità di farsi conoscere in tutto il mondo, di acquistare in Nuova Zelanda e proporre il proprio lavoro in India, vendere in Canada e fare accordi in Brasile restando comodamente a casa propria, svanisce lentamente.

Cosa resta? Piccole botteghe di quartiere. Gruppuscoli su Facebook dove ci si scambia notizie e pettegolezzi, oppure pubblicità stracciona sul proprio Comune o quartiere. Tutte cose che potremmo fare benissimo andando a prendere un caffè al bar o distribuendo un volantino, con il rischio di incontrare persone piacevoli, scambiare due chiacchiere e persino una proposta di lavoro concreta.

In compenso, finito questo articolo, possiamo blaterale ad Alexa: “spegni la luce nello studio e prepara il caffè”. Risparmiando l’immane fatica di pigiare un interruttore sulla parete mentre ci incamminiamo stancamente verso la cucina, dopo uno sguardo distratto alla telecamera di sicurezza sulla quale è comparso per un secondo il vicino di casa con il quale non ci rivolgiamo la parola da sette anni.

 

 

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La stagione dei Saloni è finita…

Alla vigilia dell’edizione 2019 del Salone del Libro di Torino, è uscita questa intervista a Marco Civra, direttore editoriale di Marcovalerio Edizioni. La riproponiamo, come dato di archivio.

Marco Civra (fotografia di Massimo Damiano)

Nata nel 2000, Marcovalerio Edizioni è oggi un marchio controllato dal Centro Studi Silvio Pellico. A dirigerla, fin dalla sua fondazione, è Marco Civra. Classe 1961, laurea in pedagogia, un passato da giornalista professionista in campo politico, prima nei quotidiani poi nelle istituzioni dello Stato, Civra presiede dal 2013 il Centro Studi Silvio Pellico, una no profit che ha incorporato Marcovalerio insieme ad altri marchi editoriali, come Ajisaipress, specializzata nela produzione di schemi di ricamo rinascimentali e vittoriani, che diffonde in tutto il mondo, Ivo Forza, donata dal suo fondatore al Centro Studi per garantirne la continuità, ed altri marchi di cultura.

Una casa editrice no profit, concentrata sulla produzione di titoli di elevato valore culturale e sulla difesa del patrimonio letterario che rischia di disperdersi di fronte alla grave crisi dell’editoria in generale. Negli anni ha tenuto a catalogo molti classici introvabili, come i Cento Anni di Rovani o la quadrilogia di Antonio Fogazzaro, ha salvaguardato la disponibilità di autori meno noti ma non minori come Faldella, riscoperto testi come “L’uomo, questo sconosciuto” di Alexis Carrell, ma anche opere di autori contemporanei di grande spessore. Ad esempio i sei volumi de “La filosofia” di due giganti del pensiero conservatore contemporaneo, come Vittorio Mathieu e Aldo Rizza.
È inoltre impegnata da anni nella produzione specifica di titoli a grandi caratteri per lettori ipovedenti. Un settore di nicchia, ma in costante crescita, che rappresenta il principale impegno sociale e al quale Marcovalerio destina i proventi delle altre collane,

1) La tua casa editrice, quindi, parteciperà a pieno titolo al Salone del Libro? No, perché…

Dire la “mia” casa editrice non è corretto. È vero, dal 2000 dirigo questo piccolo marchio, al quale ho deciso di dedicare la seconda parte della mia vita professionale e culturale. Marcovalerio resta tuttavia un patrimonio condiviso fra i soci e i sostenitori di questo progetto. Non perseguiamo il successo, né tantomeno risultati economici. Forse, proprio per questa ragione, in realtà, successo e stabilità economica, in tempi difficili per il settore come quelli odierni, ci hanno raggiunti nostro malgrado.

La questione Salone del Libro è delicata. La nostra posizione critica risale agli inizi del secolo. Quella grande intuizione di Guido Accornero e Angelo Pezzana, che nel secolo scorso fece incontrare, al tempo a Torino Esposizioni, grandi e piccoli editori gli uni a fianco degli altri, aveva ed avrebbe ancora oggi un senso.

Amo ricordare di quegli anni il mio incontro con Lorenzo Enriques, di fronte allo stand in allestimento. In maniche di camicia, sudaticcio per lo sforzo di scaricare scatoloni, l’amministratore delegato di Zanichelli, si mise a conversare di libri fra un carrello e un nastro da pacchi. Era la stagione del multimediale nascente. Mi tolsi la giacca e aiutai ad aprire gli scatoloni nella fiera in allestimento e, fra un pacco di libri e l’altro, nacque il progetto della prima edizione interattiva della Divina Commedia su floppy disk, che fu poi sponsorizzata da Apple. Quello era lo spirito del salone. Lettori, scrittori, editori, riuniti intorno alla passione, presi dal sacro furore della cultura. Negli stand potevi incontrare redattori e direttori editoriali. Non c’era bisogno di sale e presentazioni: gli scrittori erano lì, in mezzo al pubblico, libri ovunque. Cercavi un autore di una casa editrice e lo trovavi nello spazio del concorrente, intento a spulciare tra i volumi, perdevi uno dei tuoi e lo pescavi dai vicini e discutere del loro ultimo progetto. Un caos creativo, ma produttivo. Invece di convegni inutili sulle politiche di promozione del libro e della lettura, si producevano libri e si leggeva.

Poi venne la stagione grigia, quella delle sale multicolori e degli autogrill. Della grandeur spocchiosa e delle sponsorizzazioni milionarie da parte delle istituzioni e delle fondazioni. Dagli stand delle case editrici scomparvero i direttori editoriali, i redattori e persino gli scrittori, trasferiti sui palchi, e rimasero soltanto i commessi precari.

Vorrei raccontare un altro aneddoto, emblematico dello spirito successivo. Inizio degli Anni Duemila, fra i padiglioni del Lingotto si aggira un signore molto anziano, incerto, spintonato da orde di scolaresche del tutto disinteressate ai libri, in corsa verso l’incontro programmato con la soubrette di turno. A pochi metri, con passo tronfio, seguito dal codazzo di nani e ballerini abituale, un certo Picchioni esegue la danza del pavone, quasi calpestandolo.

Mi avvicino e gli chiedo come posso aiutarlo. Fu così che conobbi Ulrico Carlo Hoepli, accompagnando uno dei più grandi editori italiani ai servizi igienici. E fu così che ricevetti, nel corso di una breve ma ricchissima conversazione, alcuni dei consigli più preziosi per la minuscola casa editrice che dirigo: di fronte ai lavandini dei bagni del quinto padiglione del Lingotto.

2) Gli editori, i grandi ma anche e soprattutto i piccoli, hanno molto battagliato perché Torino non perdesse il Salone. È stata una battaglia sbagliata, quindi?

Affatto. Torino deve difendere il Salone, anzi deve riconquistarlo, perché la disastrosa gestione del recente passato lo aveva fatto scomparire. Deve riprendere il modello culturale delle origini, vera formula di successo. Che è poi la formula della Buchmesse di Francoforte ancora oggi. A Francoforte, per scelta, non partecipa il pubblico, ma le ricadute della fiera tedesca sul mercato editoriale europee sono immense. In quei padiglioni ho potuto incontrare editori di tutto il mondo e scambiare diritti che hanno portato autori torinesi ad essere pubblicati negli Stati Uniti, in Venezuela, persino in Vietnam.

Tuttavia, è anche il caso di dire che forse la stagione dei Saloni è terminata.

3) In che senso la stagione dei Saloni è finita? Davvero è solo una velleità degli autori emergenti quella di essere al Lingotto?

La difesa del Salone del Libro di Torino è curiosamente tanto più furiosa quanto meno contano le case editrici. Meno interesse i lettori nutrono per le loro produzioni tanto più i titolari di questi marchi si prodigano in comitati e associazioni a favore della manifestazione del Lingotto. È un dato che tempo fa mi incuriosiva, finché un piccolo ma onesto editore locale mi ha rivelato l’arcano: sono gli autori a chiederlo. E dal momento che gli autori sono i veri clienti di quell’editore, egli non poteva certo sottrarsi alla battaglia.

Basta visitare il sito internet di buona parte di questi pasdaran per scoprire l’arcano. Dopo l’inevitabile pistolotto sulla necessità di chiedere un contributo agli scrittori per poterli pubblicare, sottolineano che quel contributo servirà a promuoverli nei saloni e nelle fiere, con il Lingotto in prima fila. Poco importa se nessun lettore si avvicinerà ai parti ululanti trasferiti su carta da questi vanitosi celebratori di se stessi. L’importante sarà poter esibire di fronte a parenti e amici una fotografia dentro lo stand, con la copertina del proprio libercolo in bella vista. Così il Salone del Libro di Torino si appresta a diventare, dopo la stagione degli aperitivi picchioniani, la stagione degli aperitivi della vanity press. Ancora una volta, nani e ballerini. Questa volta anche ballerine.

Quanta differenza con la sobrietà e l’intensità della Buchmesse, per citarla ancora come esempio da imitare.

Marco Civra (fotografia di Massimo Damiano)

Una volta entrai a curiosare nello stand iraniano a Francoforte. C’era una sola persona presente in quel momento, un signore brizzolato che mi invitò a prendere il tè. Conversammo amabilmente per oltre un’ora di Islam e Cristianesimo, di cultura occidentale e mediorientale, persino di diritti delle donne. Al momento di salutarci, scambiammo finalmente i biglietti da visita. Scoprii che avevo trascorso parte del pomeriggio con Alireza Ali Ahmadi, ministro dell’educazione in carica dell’Iran.

Questa è la magia del Salone di Francoforte. Questa potrebbe essere, se ritrovata, la magia del Salone di Torino. Ridiventare luogo di incontro culturale, dove piccoli editori come noi e grandi editori si confrontano e si cambiano esperienze.

La stagione dei cafoni, mi sia permesso il termine, deve finire.

4) Assumendo questo tuo punto di vista, come altro si potrebbe promuovere il libro e la lettura?

È molto semplice: pubblicare buoni libri e lasciare che i lettori li scelgano liberamente. Alcuni anni fa, in occasione dell’ultimo incontro con Rolando Picchioni, incontro che terminò non a caso in uno scontro, avanzai provocatoriamente una proposta. Visto che gli introiti veri della fiera derivavano dalle sponsorizzazioni istituzionali e in parte irrilevante dagli ormai sparuti editori presenti – era l’anno in cui il Salone dichiarò alla stampa la presenza di oltre 1400 espositori e dimostrai, catalogo alla mano, che gli editori effettivamente presenti erano meno di 300 – lo invitai a trasformare il biglietto di ingresso in buoni acquisto spendibili presso gli editori, che agli editori sarebbero stati rimborsati solo per il cinquanta per cento. In questo modo i visitatori avrebbero sicuramente acquistato libri all’interno del Salone Un sistema selettivo e premiante per le produzioni di qualità, ben più dei contributi a pioggia della Regione Piemonte, che mettono sullo stesso piano editori veri e stampatori e pagamento.

5) Quale il ruolo che può esercitare la mano pubblica e quale i privati, magari in rete tra loro?

Nella situazione attuale, l’unico vero ruolo che la mano pubblica potrebbe esercitare sarebbe il totale ritiro da ogni attività in campo culturale, compresa l’abolizione dell’assessorato che pare ironico definire competente. Fuori dalla facile satira, in occasione degli Stati Generali della Cultura della Regione Piemonte ho ribadito che l’ente pubblico deve svolgere il ruolo di facilitatore, non di imprenditore mascherato o peggio di elargitore di contributi. Perché se i contributi sono a pioggia, come avviene troppo spesso, finiscono per creare una falsa apparenza di giustizia, ma premiano allo stesso modo chi produce realmente cultura e chi produce carta da macero, in una spirale nella quale vince il più bravo a raccontare frottole. Se i contributi, invece, sono mirati, finiscono inevitabilmente per essere destinati ai sodali dell’assessore di turno. Escludendo la malafede, l’abissale ignoranza riesce a provocare danni ancora maggiori. Per restare nella nostra regione, i contributi mirati, anziché promuovere libri e cultura, hanno troppe volte sostenuto guide turistiche e album di foto ricordo. Anche se da alcuni anni porto avanti un progetto di valorizzazione territoriale, ritengo che la frammistione fra cultura, spettacolo, turismo ed enogastronomia siano uno dei gravi errori negli indirizzi pubblici degli ultimi anni. Personalmente amo la buona tavola in località amene, ma non confondo questo con la lettura.

6) Tocca, insomma, archiviare per sempre i grandi eventi che hanno costruito quel Sistema Torino, che proprio nei libri di Bruno Babando che tu pubblici è stato ben descritto?

Bruno Babando è un giornalista geniale e proprio per questo inviso al sistema. Il Sistema Torino purtroppo non è stato costruito su grandi eventi. Avesse realizzato grandi eventi, ne avremmo almeno ricevuto qualche beneficio. Eventi effimeri quanto appariscenti, quelli sì rappresentano il Sistema Torino. Il Salone del Libro dell’era Picchioni di grande non ha avuto nulla. Concordo con i suoi sostenitori che le ricadute sulla città e sull’intera regione sono state di enorme portata: pari a un bombardamento. Quella visione ha provocato danni immani e ci vorranno decenni per rimuoverne le macerie. Per quasi una generazione le risorse che potevano essere destinate alla cultura sono stati ingoiate da una fabbrica dell’avanspettacolo. Anche di pessimo gusto.

7) Tra l’altro, nelle politiche culturali, possiamo dire che la continuità è superiore alla discontinuità? Oppure c’è proprio nulla?

Sono notoriamente un conservatore, anche se fuori dal coro di quelli che oggi si spacciano per tali. Confesso di aver sperato che un sano scossone al barcone politico che ha caratterizzato quel sistema torinese e piemontese al potere per troppi anni potesse essere salutare. Purtroppo, pochi mesi sono stati sufficienti per verificare che lo scossone, come denuncia, su un fronte politico lontanissimo dal mio, Gabriele Ferraris, si è tradotto nel mero taglio degli investimenti e nel ritorno al mito delle periferie e dell’immobilismo che tanto piaceva quasi mezzo secolo fa a Diego Novelli. Peggio ancora, con la diminuzione dell’acqua disponibile nella vasca dei pesci rossi, molti di essi si sono trasferiti, magari mutando colore, pari pari nella boccette asfittiche delle nuove amministrazioni, elemosinando le briciole che caratterizzano il massimo orizzonte del loro pensiero. Direi che assistiamo a una perfetta continuità, ma anche a una lenta agonia.

Il sistema Torino (fotografia di Massimo Damiano)
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